Barletta, la storia di Michele clochard emigrato a Trieste, tante le storie di clochard barlettani
«Questa è una vita che ti consuma, ti toglie ogni dignità». La storia di Michele Vurro è stata raccontata qualche tempo fa sulle pagine di un noto quotidiano nazionale. Nello specifico è la storia di un uomo originario di Barletta – che fa il palio con tante altre storie di barlettani sparsi qua e là nello stivale – oggi costretto a vivere una vita di stenti e a cercar rifugio nelle carrozze dei treni assiepate nella notte nella locale stazione ferroviaria di Trieste: «Sono iscritto all’ufficio di collocamento, sono anche andato a fare il carpentiere in Germania. Se trovassi un lavoro, anche da poche centinaia di euro, lascerei subito la strada». Una storia quella di Michele che ha avuto il suo punto di inizio tanti anni fa, quanto lo stesso giunse nella città alabardata per lavorare alla costruzione delle Torri d’Europa, poi il baratro, di fatti per lo stesso inizia una vita fatta di furti, di tentate estorsioni e detenzione di stupefacenti. Poi arriva la strada fatta di elemosine nelle ore diurne e di sopravivenza nei vagoni letto nelle ore notturne:« «Io e i miei compagni dormiamo lì da mesi al dormitorio di via Udine è difficile trovare un posto, quindi ci arrangiamo. Dove dovremmo andare con questo freddo? A morire in qualche angolo nascosto senza creare imbarazzo? Lì ci ripariamo, dormiamo non cuciniamo, stiamo attenti con le sigarette: cartoni e coperte potrebbero prendere fuoco».
La storia di Michele Vurro è soltanto l’ultima pagina di un libro che vanta la presenza di tanti e troppi barlettani, quanto segue è la storia di Ruggiero – anch’egli originario della città di Eraclio – impiccatosi all'inferriata esterna della finestra di una chiesa al centro di Roma - San Rocco all'Augusteo - in uno dei «triangoli» più famosi e suggestivi della capitale, quello delimitato da via di Ripetta, piazza Augusto Imperatore e via Tomacelli, a poca distanza dall'Ara Pacis.
La storia risale a circa 3 anni fa, risultò essere una via di mezzo tra il giallo e la tragedia, con l’ ipotesi della tragedia che via via prese il sopravento sul mistero, una tragedia forse dettata dalla solitudine, anche se alcuni residenti del quartiere, che con il tempo avevano fatto l'abitudine a quel signore che a dispetto dei suoi precedenti penali e della mancanza di una casa e di una vita regolare veniva descritto come sempre vestito «in modo dignitoso», «gentile» e, soprattutto, «mai aggressivo», che si accontentava di quel poco che gli allungava chi aveva bisogno di parcheggiare l'auto o la moto nelle vie di Campo Marzio, riferirono delle preoccupazioni di Ruggero secondo cui negli ultimi tempi avrebbe confidato di essere «preoccupato», soprattutto dopo che un gruppo di posteggiatori extracomunitari, abusivi come lui - in assenza di un altro «collega» - in qualche occasione lo avrebbero taglieggiato, minacciato, addirittura percosso.
Purtroppo la povertà d’esportazione fa il palio con l’imbecillità di esportazione, infatti nel 2008 le cronache locali a Milano narravano quanto segue: due giovani agenti in servizio alla Stazione Centrale di Milano sono stati accusati di aver pestato così violentemente un inerme alcolizzato vagabondo da spaccargli la milza facendolo morire per un’emorragia interna e di aver poi tentato goffamente di coprire la verità con una relazione di servizio falsa inventandosi una colluttazione per un taglierino con il quale l’uomo li avrebbe minacciati. Nello specifico, è il 6 settembre 2008, quando in piazza IV Novembre, accanto alla stazione centrale milanese, due giovani poliziotti (uno di Roma, 27 anni, l’altro di Barletta, 26), forse annoiati dalla routine, decidono di scaldarsi un po’ e se la prendono con Giuseppe Turrisi, un clochard di 58 anni, originario di Agrigento. Se lo portano in centrale, lo massacrano a calci e botte fino a spappolargli la milza, tanto che Giuseppe in ospedale ci arriva già morto. I due assassini in divisa, coperti da colleghi e superiori, scrivono molte inesattezze nel loro rapporto.