Header Ads

La Voce Grossa di…Bobby Solo(intervista):«“Una lacrima sul viso”? L’ho composta in cucina con mia madre mentre cucinava patate…»


Piero Chimenti - Bobby Solo è un vero 'animale da palcoscenico' in quanto con la sua musica riesce ad abbracciare un pubblico di più generazioni, grazie alla sua immancabile “Una Lacrima sul viso” a tributi a Johnny Cash, non rinunciando la lanciare una frecciatina alle tv. Nella nostra intervista Bobby ci racconta della sua amicizia con Franco Franchi e Little Tony e soprattutto della sua voglia di ripartire dopo un 2020 caratterizzato da lockdown, perché lui scalpita come un cavallo 75enne .

Con oltre 50 anni di carriera, come si riesce a stare alla cresta dell'onda ed abbracciare un pubblico di tutte le età?

R:«In un certo senso sono un cantante storico anni '60, o chiamiamolo 'dinosauro del Jurassic Music', però ho la caratteristica della versatilità, cioè dall'età di 25-30 anni, dopo essermi ispirato ad Elvis Presley, ho deciso di studiare dove Elvis aveva preso ispirazione, perché nessuno nasce imparato. Ho scoperto tramite i presidenti dell'Elvis Presley fan club italiani, che Presley prendeva ispirazione dal Gospel, dal Spiritual, dal Folk, dal Blues, dal Country al Bluegrass. A quel punto 40 anni fa mi sono messo ad esplorare pianeti musicali diversi.  Purtroppo c'è una strana cosa  che non ho mai capito, quando vado in tv mi dicono: "In televisione Rai, tu devi cantare solo le tue vecchie glorie, non puoi fare Country, Pop, Blues, non lo puoi fare", e gli ho detto:"Ma perché è vietato? Ci viene una malattia?", e lui: "No cade l'audience", ed ho gli ho risposto: "Ma scusate, se io canto la stessa ciccia per 58 anni, non pensate che la gente sia annoiata? Magari una cosetta nuova". Tant'è vero che quando adesso ho inciso il mio disco “Good in Blues”, con la Res Records di Milano, Il Buscadero mi ha fatto un articolo enorme di apprezzamento. Tutti i giornalisti non scandalistici – non quei giornalisti da quattro soldi da dentisti e parrucchieri - hanno apprezzato il mio lavoro. Quindi quando canto dal vivo, accontento quelli della mia età, perché canto le mie glorie, “Se Piangi…Una lacrima…Zingara”, poi faccio del blues, del rock n'roll, un tributo a Johnny Cash che io ho scoperto che è adorato dai giovani di 20-30 anni perché hanno visto il film “I Walk the line”. Questo film sulla vita del cantante country li ha affascinati».


Che segno ha lasciato la musica degli anni 60 nella storia della musica italiana?

R:«Probabilmente non per essere presuntuoso, ma le canzoni degli anni '60, “Non c'è più niente da fare”, “Se piangi se ridi”, hanno lasciato un segno come del resto lo hanno lasciato tutti i miei colleghi non solo me: Celentano, Morandi, il mio povero amico che mi manca tanto Little Tony, Orietta Berti. E' stato un periodo felice e fertile della musica italiana, anche pioneristico perché negli anni '60 quando uscirono Gino Paoli ed Ornella Vanoni, i 45 giri era un territorio inesplorato e nella Ricordi, la casa discografica, l'amministratore delegato Rignano era uno che importava miliardi di caffè dal Brasile, però gli avevano detto che coi dischi si possono vendere milioni di copie e si può fare soldi. Questo avvenne anche con la Ri-Fi, con Giovanbattista Ansoldi, ed anche la Sugar Music. Quei periodo era pioneristico, non c'erano progetti come oggi. Le case discografiche, quando lanciano un artista di oggi, fanno dei progetti come se si fa per costruire un missile. Prima era molto artigianale, il capo della casa discografica aveva investito centinaia di milioni di lire e ci diceva: "andate in sala d'incisione e fate quello che volete: cantate le vostre canzoni, io pagherò l'arrangiatore, pagherò la sala d'incisione". Era molto amatoriale, ma proprio per questa semplicità, amatorialità, sono nate questa canzoni come “Sapore di Sale”, come “L'Appuntamento della Vanoni”, come “24 Mila Baci” di Celentano ecc ecc».

 


Cosa ti ha portato questo lungo periodo di lockdown?

R:«Mi ha portato cose buone, perché stanno uscendo due vinili, anzi uno è già uscito, ”Good in Blues”, con quattro canzoni dedicate a Tony Joe White, che è il mio idolo, cantautore della Louisiana che ha dato due pezzi a Presley nel '70 e due pezzi a Tina Turner nell' 80. Poi con il mio amico Tony Salvati - che ha 65 anni,  10 anni meno di me che conosco da 45 anni - che ha uno studio di registrazione a Milano, “Rosso al Tramonto”, gli ho detto durante il lockdown: "Ho scoperto che le canzoni immortali italiane, come “Parlami d'amore Mariù” di Achille Togliani venne cantato da Big Damone in America e poi ho scoperto che “Luna Rossa”, Blushing Moon, fu cantata da Frank Sinatra. Ho scoperto che “Amore scusami” di John Foster del 1963 venne cantata con milioni di copie da Al Martino. Perché non facciamo un tributo alla meravigliosa canzone italiana degli anni '60? Perché non incidiamo 12 canzoni tra cui “Quando Quando” di Tony Renis? Io la canto in inglese - che me la cavo con la moglie americana - e tu la canti in italiano. Lui ha acconsentito ed abbiamo creato questo vinile, che poi uscirà in cd che si chiama “International Italian Vintage Songs”.


Come hai vissuto l'anno appena passato caratterizzato dall’emergenza pandemica?

R:«Nel periodo del lockdown ho suonato la chitarra, composto, insomma ho continuato e continuo a lavorare. Adesso c'è una band che si chiama “Dan e i suoi fratelli””, tutti ragazzi di 25 anni, che fanno rock n'roll e beat. Abbiamo tentato la via che porta a Sanremo, essendo una band di rock'n'roll, anni 50-60 stiamo progettando di fare parecchia televisione al di là di Sanremo. “Dan e i suoi fratelli” è una band molto brava. Scalpito come un cavallo 75enne perché prima del lockdown facevo le mie 40-50 serate, guidando da solo, senza segretari, con in macchina due amplificatori a valvola Fender, 2 chitarre, 5-6 microfoni. Sono sempre stato un Musician On The Road e quindi mi sento un po' in galera, ma avendo questa età ho paura anche di morire con questa malattia e quindi mi tocca rimanere confinato qui in casa».

Il tuo mito è Elvis Presley: in cosa ti ha influenzato maggiormente nella tua carriera artistica?

R:«Avevo 14 anni e m'innamorai di una ragazzina, figlia di un giornalista del New York Herald Tribune, a Roma, corrispondente americano. Lei si chiamava Patsy Mcglone, era una americanina bionda con la coda di cavallo, non avevamo neanche scambiato un bacio perché a 14 anni della nostra epoca erano molto platonici, però ne ero innamorato di questi occhietti verdi e le mi continuava a dire: "I like Elvis Presley", che io non sapevo chi fosse. Avendo una sorella, del primo matrimonio di mamma, che era in America chiamai Fiorenza e gli dissi: "Chi è sto Elvis Presley?". Era il '61 e mi ha mandato due stander play, “Love Me Tender” di quattro canzoni 45 giri,  e l'altro “Cellars Rock” e poi mi ha mandato “Load di Bing Crosby”. Ricordo ancora queste copertine. Ho visto questo bel ragazzo, coi capelli tagliati a spazzola. Papà era militare, poi diventato pilota dell'Alitalia, un colonnello severissimo, triestino, proveniente da una famiglia poverissima e quando aveva 14 anni andava a raccogliere il padre medico purtroppo alcolizzato per le vie di Trieste, siamo tutti triestini. Quando ho visto queste copertine, ho chiesto timidamente a mia mamma di farmi crescere un po' i capelli per piacere a Patsy. Mi sono cresciuti i capelli, mi sono fatto il ciuffetto ero piccolino, carino a 15 anni, e lei mi ha detto: "E vabbè, hai ciuffo però non canti". Ho chiesto a mia mamma una chitarretta da 100 euro, che è arrivata puntualmente a natale, ma non sapevo come mettere gli accordi, non c'erano i maestri. Oggi è pieno di scuole, il mondo è diverso.  C'era il falegname sotto casa, che mi ha insegnato 4-5 accordi. Presley mi ha illuminato come immagine, però mentre il mio amico che mi manca tanto Little Tony, che aveva i capelli neri assomigliava molto ad Elvis anche come look e cantava rock'n'roll scatenato, io invece essendo più 'morbidone', preferivo le ballate romantiche di Elvis e quindi mi sono deviato sulla parte Crooner. Elvis una volta spaventato, per l'avvento dei Beatles, il manager gli ha detto nel '64: "Questi Beatles ti oscureranno perché sono troppo forti, ti conviene non fare più dischi ti faccio un contratto ad Hollywood, 15 film a 10 milioni di dollari l'uno, fai i film che sei un bell'uomo". In questi film, che sono dei musicarelli con gli 'steroidi' mica quelli nostri, perché gli americani ad Hollywood avevano i soldi. Lui cantava canzoni da Crooner, canzoni da Swing, Shuffle, che apprezzavo molto la morbidezza, perché la canzone d'amore partiva quando lui era inquadrato con la donna, la baciava. Mi sono ispirato alla parte romantica, crooner nel nostro Elvis».

Sei lontano da Sanremo da quasi 20 anni, come mai hai deciso di riprovarci?

R:«Partecipai nel 2003 con il mio grande amico Little Tony con “Non si cresce mai”, che non per vantarmi l'ho composta io, che di genere canto le cose che compongo io. Sono stato contattato da un impresario molto importante, per motivi di privacy non dico il nome, che mi ha fatto ascoltare un pezzo non mio, che ho modificato con una strofa all'inizio di questi ragazzi. Quando ho visto che Dan ha il ciuffo, ho detto: "questo è della mia 'parrocchia'", della parrocchia Elvis rock'n'roll. Mi ha mandato il video, è come un nipotino 25enne. La canzone l'ho modificata, con qualcosa all'inizio alla Johnny Cash e mi hanno detto che pensavano di partecipare a Sanremo, anche se era molto tardi perché questi giochi sanremesi dalle grosse case discografiche: Universal, Sony, Warner, sono già predisposti a luglio, quindi son già studiate prima, ma noi non ci arrendiamo perché quello che conta è avere la forza di continuare. Anche se non abbiamo la vetrina di Sanremo faremo 3-4 televisioni, perché questo manager ha una buona entratura in Rai e contiamo di fare una ventina di concerti alla grande questa estate».

Quindi ti aspettiamo in Puglia

R:«Magari, magari, perché adoro la Puglia. Quando vivevo a Roma era tutto più facile perché negli anni '80-'90 avevo un manager di cui sono ancora amico, anche se non lavoro più con lui, che aveva l'ufficio a Vasto e quindi da Vasto con la sua Mercedes a 210 Km/h, quando ancora non c'erano gli autovelox,  andavamo dappertutto: a Bari, Foggia, Santa Maria di Leuca, Brindisi ecc. Quando negli anni '80 ho partecipato al pic pic di 50 mila persone a Toronto, uno spettacolo organizzato da un italiano che aveva una radio importantissima CHIN Radio, una radio multirazziale che trasmetteva da un grattacielo di Toronto musica italiana, pakistana, turca, cinese, giapponese. Ricordo che ho incontrato un ragazzo con la voce di Tom Jones, Elio Stanera, che era del paese di Oria, vicino Brindisi, che per dire attaccati al tram, diceva in dialetto "Zicchete a stu pete". Aveva una voce pazzesca, purtroppo ha avuto un brutto infarto ed è venuto a mancare. In Puglia c'è Albano che c'ha una voce incredibile, così come molte orchestre pugliesi sono fortissime. Le migliori orchestre venivano dall'Emilia Romagna, dall'Abruzzo e dalla Puglia. Ti dico un particolare che ti farà sorridere, nel 1977 c'era un'orchestra vicino Bari, che si chiamava Luis Cataldo che si spacciava per essere messicano. Andava in giro con l'orchestra col sombrero. Quando arrivava nei paeselli, dove erano più ingenui, parlava spagnolo ma era barese. Io cantavo con loro, e con la band facevamo i pranzi. La moglie era una bella signora faceva delle cofane di rigatoni al pomodoro che erano squisiti. Quando nel  '70 c'è stato un festival a Palermo, che si chiamava Festival del Parco la Favorita, 50 mila persone, vennero Aretha Franklin, James Brown, Johnny Hallyday però non volevano italiani. Quando cantavano gli italiani, tiravano i sassi perché volevano gli stranieri. Allora Fred Bongusto si vestì con un vestito bianco ed un cappello di paglia e si fece passare per un cubano, ed ebbe un grande successo perché camuffato con gli occhiali cantò una canzone latino americana ed ebbe un sacco di applausi. Negli '70 ero amico di Franco Franchi e lui mi proteggeva. Ero a Palermo a cantare per altre cose e gli ho detto:"Franco ho paura di andare a cantare perché so che tirano i sassi", e lui mi fa: "Non avere paura, va e canta". Vado sul palco e prima di cantare arriva la capa degli hippies di Milano, una ragazza di 25 anni che mi fa in milanese:" Ue vedi che abbiamo i sacchi di terra che te li tiriamo appena canti". Morale ero spaventato da morire, vado fuori a cantare e tutti applaudono. Mi hanno detto che in mezzo alla folla c'erano 50 uomini con braccia di 50 cm pieni di tatuaggi, roba da ambiente, che diceva alla gente di battere le mani. Ebbi un grande successo. Era la protezione di Franco Franchi. Lui mi ha sempre protetto. C'era un impresario di Palermo che nel '75 non mi pagava 20 date, ed io lo andai a cercare a Mondello ma lui scappava dalla finestra della cucina per non incontrarmi. Ho telefonato a Franco Franchi e nel giro di 2 ore mi ha portato i soldi delle 20 date e mi ha chiesto scusa, perché Franco era rispettato».

Hai cantato molti successi, ma tutti ti riconoscono per “Una lacrima sul viso”, che 'rapporto hai con questo brano?

R:«L'ho composta nel '63 in cucina con mia madre che cucinava le patate. In genere la lacrima si può pensare che cucinava le cipolle, ed invece cucinava le patate bollite ed in 3 minuti ho composto questa canzone meravigliosa che tutt'ora quando la sento ho i brividi. La mamma è stata la mia fan, mi adorava. I miei genitori non volevano che cantassi: mio padre un colonnello severo dell'aeronautica mi voleva notaio, avvocato o medico e mia mamma mi voleva parroco perché diceva: "Così le donne capiscono e non ti fanno soffrire"».

Ed invece?

R:«Invece io ho sofferto molto con parecchie donne. Ho sofferto ma ho anche goduto. Questo brano è eterno perché nel '78 avevo una ragazza di colore delle Guadalupe, che cantava con la band Belle Epoque. Loro fecero una cover da 5 milioni di copie Black Is Black, ed ero in condizioni economiche molto brutte, ero senza soldi in quel periodo, ero nei guai, separazioni e quindi vivevo in un appartamentino di 30 metri quadrati con Jo Pepper, una bella ragazza nera e dissi al produttore a mezzanotte, che ci invito al ristorante Natalino in Via Cassia a Roma: "perché non facciamo di “Una Lacrima sul viso” una cover dance? Lui a mezzanotte mi guarda fisso negli occhi e mi fa: "Un momento". Va a telefonare e dopo mezz'ora torna e mi fa: "Abbiamo 350 mila copie di minimo garantito. Domani andiamo nello studio di Gianni Boncompagni ed incidiamo Una Lacrima stile Grace Jones". Morale, 4 televisioni a Parigi, avevo anche 20 kg di meno, vestito bianco alla John Travolta e feci 2 milioni di copie nel '78. Adesso spero di incidere “Una Lacrima” in uno stile reggae o reggaeton, perché comunque essendo una bella melodia, considerata tra le 10 canzoni più importanti italiane, mi auguro di fare una terza versione».

Nessun commento

Powered by Blogger.