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La Voce Grossa di…Francesco Repice(intervista): «Commentare una partita? Significa entrare nel campo e vedere e sentire con gli occhi e con le orecchie di tantissime persone che ti ascoltano»


Nicola Ricchitelli – La sua voce ancora oggi mi riecheggia da Sassuolo quando in quel pomeriggio del 22 maggio del 2022 il mio Milan tornava a cucirsi il tricolore undici anni dopo il trionfo della stagione 2010/2011.

Che goduria quando con quel: «ruggito venuto dall’Atlantico», raccontò un goal di Leao nel derby, ma in fondo racconta ogni goal con la stessa intensità, senza distinzione di bandiera e colori: «…il goal va esaltato, il goal è l’essenza del gioco del calcio, ne va esaltata l’euforia così come la cupezza del momento».

Ha raccontato ogni qualsivoglia squadra del nostro cuore con le sue telecronache, sulle nostre pagine ci onoriamo di ospitare la voce del maestro Francesco Repice.

Non so se le fa piacere o meno ma non riesco a darle del tu, per noi manovali di questo mestiere sei un maestro, ed allora maestro come sta innanzitutto?
R: «Me la cavo abbastanza bene, sto bene, sono verticale, finché il fisico me lo concederà, finché il Padre Eterno mi permetterà di trottare allora andrò avanti».

Riesce a gioire con la stessa intensità di ogni qualsivoglia goal da lei commentato, per un telecronista cosa rappresenta la visione di un goal?
R: «Il goal va esaltato, il goal è l’essenza del gioco del calcio, ne va esaltata l’euforia così come la cupezza del momento – pensa ad esempio al momento in cui la Nazionale piuttosto che una squadra italiana prende goal in una partita di coppa – ricordiamoci sempre che questo gioco esiste perché esiste chi lo ama, esiste perché esistono i tifosi. Non dimentichiamo mai quelle partite senza tifosi durante il periodo Covid, quelle non erano partite di calcio, erano altra cosa. I tifosi con il loro tifo, con i loro sentimenti di gioia e tristezza sono parte integrante di questo gioco, ecco perché mi piace esaltare un goal e mi piace incupirmi se la Nazionale o una squadra italiana in coppa subisce un goal».

Vi è una partita che più di tutte porta dentro nei suoi ricordi?
R: «Dentro me ne porto tante, tantissime, ho difficoltà a dirtene una, ci sono alcune che mi hanno segnato sia come tifoso che come giornalista, diciamo che tra queste molte sono della mia squadra del cuore che è la Roma».

Un calciatore a cui più di tutti sei maggiormente legato?
R: «Francesco Totti, lui è stato il calciatore che mi ha fatto vivere emozioni che nessun altro calciatore mi ha fatto vivere».

Sente il peso di essere con la sua voce un lato di un calcio che ormai rischia di scomparire?
R: «Non credo, anzi io credo che la radio rispetto agli altri mezzi di informazione abbia un grande vantaggio, quando sei in radio non hai bisogno di stare seduto e farti imbottire di immagini, o stare dinanzi ad uno schermo piuttosto che ad un IPhone per farti rimbambire di immagini, suoni e parole. La radio ti insegue in qualche modo e ti consente di fare quello che vuoi, puoi giocare con tuo figlio piuttosto che stare con gli amici, andare a caccia, a pescare, paradossalmente puoi anche giocare a calcio quando ascolti la radio, io credo che paradossalmente le nuove tecnologie hanno esaltato il racconto delle partite attraverso la radio, raccontare una partita di calcio attraverso la radio sarà un qualcosa che non scomparirà mai».

Cosa significa per lei da una radio commentare una partita?
R: «Significa entrare nella partita, significa entrare nel campo significa stare nello stadio, significa vedere e sentire con gli occhi e con le orecchie di tantissime persone che ti ascoltano, ed è una cosa bellissima».

Nella sua Cosenza ha portato a teatro lo spettacolo "Otto&Nove – Fora Maluacchiu", cosa tratta nello specifico?
R: «"Otto&Nove – Fora Maluacchiu" è un modo di dire calabrese – tipico cosentino – lo si dice quando nella vita ti accade un qualcosa di bello, l’otto e il nove sono i voti alti in pagella, e quindi “Fora Malacchiu” per quelli che ti vogliono male. Ma il numero otto e il numero nove sono stati anche i numeri di maglia di Denis Bergamini e Gigi Marulla, che per la città di Cosenza rappresentano molto, non solo come calciatori ma anche come riscatto di intere generazioni, sia a livello sociale che a livello di partecipazione alla vita della città. Questo spettacolo è stato un racconto di emozioni, ho visto il teatro della mia città pieno, ho visto una città desiderosa di sentirmi raccontare questa storia, e attraverso questa storia vivere uno spaccato di quell’epoca. Questa è la storia di una città che si identifica attraverso questi due ragazzi, e devo ringraziare della vicinanza in questo progetto di Andrea Marotta, Francesco Laluna, Claudio Dionesalvi, insieme abbiamo fatto un qualcosa di bello che mi ha dato una soddisfazione grandissima. Questo spettacolo è la storia di Denis Bergamini e Gigi Marulla che sono stati due grandissimi calciatori ma che non sono stati capaci di tenere lontano il malocchio».




Soprattutto è uno spettacolo che pensa di adattare in altre realtà calcistiche del nostro Paese?
R: «Non credo, questa è una storia molto particolare che ha radici geografiche molto definite, questo anche dal punto di vista sociale e culturale, non ci sono tante terre come la Calabria che vive i problemi come le vive lei, e che vive le emozioni come le vive la Calabria. Dico che è molto complicato portarlo fuori, questo è stato un paradigma che spero non debba più ripetersi a nessuna latitudine, perché questa è la storia di due ragazzi che hanno pagato con la vita – il primo in circostanze ancora da chiarire anche se c’è poco da chiarire e il secondo per un semplice capriccio del destino – quindi non lo adatterò ad altre realtà anche se le emozioni saranno il fil rouge di altre storie che se mi permetteranno di farlo vorrei portare in giro per l’Italia».

Maestro il calcio di oggi le piace?
R: «Io non credo che esista un calcio di ieri, oggi e domani, il pallone è il pallone, se lo si complica la vita con formulette matematiche, numeri e con termini astrusi allora gli facciamo solo del male. Il pallone alla fine è una cosa molto semplice, se si riuscisse a mantenere sempre questa semplicità sarà sempre il primo interesse dei nostri ragazzi e della gente del nostro paese, questo in termini di passatempo, di suo è già complicato – soprattutto a livello politico - ma se si continua su questa strada renderemo un cattivo servizio al Pallone, ed io il Pallone lo amo davvero».


Cosa le manca in questo calcio attuale del passato?
R: «Del passato mi mancano certe consuetudini, gli orari delle partite, i numeri delle maglie e perché no, l’assoluto disprezzo per le creme depilatorie(ride), queste sono cose che mi mancano molto, il pane con la frittata e le taniche da 5 litri di vino da dividersi in curva con i tuoi fratelli e con i tuoi amici…».

Vi è un qualcosa che manca oggi alla sua carriera?
R: «Dalla mia carriera non ho più nulla da pretendere, ho avuto tantissima fortuna e bisogna saper apprezzare quello che si è ricevuto. Se potessi chiedere qualcosa alle “Divinità del Pallone” allora chiederei di farmi commentare una finale di Coppa dei Campioni della Roma e vederla vincere, uscirei da un incubo che dura dal 30 maggio 1984».

In quali progetti la vedremo impegnato nel prossimo futuro?
R: «Chissà magari mi vedrete su un palcoscenico di un teatro o dinanzi ad una cinepresa su un set cinematografico, chi lo sa. Per il momento c’è il mio lavoro, aspetto cin ansia i prossimi Europei in Germania e vediamo che succede».

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