La Voce Grossa di…Alessio Tacchinardi(intervista): «Quando indossi la maglia della Juventus non puoi non lottare e soffrire»
Nicola Ricchitelli - Ha legato gran parte della sua carriera alla Juventus, dove ha militato dal 1994 al 2005, vincendo tutto quello che vi era da vincere e quindi sei Scudetti, una Champions League nel 1996, la Supercoppa Uefa nello stesso anno, quattro Supercoppe italiane, una Coppa Italia e una Coppa Intercontinentale. Successivamente ha giocato per il Villarreal in Spagna – con cui conquista una semifinale di Champions League nella stagione 2005-2006 - prima di chiudere la carriera all'Brescia.
Si parla di Juventus sulle nostre pagine, e lo facciamo ospitando la voce del mitico Alessio Tacchinardi.
Alessio, cosa significa indossare la maglia della Juventus?
R: «Si è detto tanto sulla Juventus in questi giorni, del resto lo ha detto anche il Capitano – Alex Del Piero – quando si indossa una maglia come quella della Juventus, non puoi non lottare, soffrire, battagliare…quello che più ti salta all’occhio vedendo una partita della Juventus è il non avere un’anima, un senso di appartenenza, si è arrivati ad un punto che onestamente non mi aspettavo… La cosa che non si capisce, ma soprattutto non capisce chi quella maglia l’ha indossata è come si possa arrivare a questa situazione…».
Maglie come quelle di Juve ma anche Milan e Inter, hanno ancora un peso per i calciatori che la indossano?
R: «L’errore è forse anche dei genitori nell’educare i propri figli, sono cresciuto in un’epoca dove bastava un pallone per giocare a calcio - oggi per giocare a calcio bisogna pagare - ma soprattutto vi era più attaccamento alla maglia per cui si tifava e che si indossava, la chiave sta forse nei tanti italiani che ai miei tempi popolavano i vivai. Bisognerebbe tornare a puntare sui nostri giovani, dargli un senso di appartenenza, e quindi mettere all’interno delle società figure che hanno fatto la storia di quella maglia, può essere un concetto vecchio vent’anni, ma vent’anni fa le nostre squadre ottenevano dei risultati».
Quali sono le colpe di Thiago Motta?
R: «Partiamo dal fatto che oggi fare l’allenatore è un mestiere molto difficile…Quando analizzo le partite della Juventus però trovo inspiegabile come si sta parlando di un allenatore che lo scorso anno di questi tempi era forse il più studiato in Italia…in tanti studiavano come giocava il Bologna, come interpretava le partite il Bologna, stiamo parlando di un allenatore che a Bologna ha dimostrato di avere delle idee…oggi assistiamo ad un crash tattico, empatico e mentale inspiegabile. Non so quali possano essere le colpe di Thiago Motta, non so fin dove possano arrivare le colpe di calciatori e società, però io so che se sapevi far e saper giocare a calcio lo scorso anno devi saperlo fare anche quest’anno, se David Luiz e Koopmeiners erano forti lo scorso anno, devono esserlo anche quest’anno…il problema è capire la fonte di questa involuzione…purtroppo a Torino sembra di vedere un altro allenatore rispetto a quello visto a Bologna».
Pensi che ci possano essere delle colpe anche da parte della società?
R: «Questo non lo so perché non ci sono dentro…però si è fatto un mercato di calciatori pagati tanto - sia quest'estate che nella sessione invernale - che stanno rendendo poco, ma soprattutto tra questi calciatori non vi è uno che è migliorato, non si capisce se è l’allenatore a non far rendere i calciatori, se siano quest’ultimi a non seguire l’allenatore, in tutto questo la società penso che è in grado di capire dove sia il problema e quali siano i problemi, da fuori emerge un grande e grosso crash totale…».
Qualcuno ha abbozzato un confronto con Carlo Ancelotti…silurato dopo due anni, diventato poi uno dei più grandi allenatori della storia…
R: «Partiamo dal presupposto che questa squadra rischia di non arrivare tra le prime quattro – a fronte di un mercato di 200 milioni di euro – poi è Giuntoli che deve decidere se Thiago Motta può dare qualcosa a questa Juventus…ti dico però che Carlo Ancelotti ha perso uno scudetto, significa che è stato sul pezzo fino all’ultima partita, le qualità di Ancelotti le vedevi tutti i giorni…in questo caso è Giuntoli che deve capire se questo allenatore ha feeling con la squadra, se c’è empatia…con la tattica poi sono bravi tutti e ci sono tanti allenatori molti preparati fin nelle categorie cosiddette minori…non bisogna andare molto lontano, basta guardare quello che Claudio Ranieri sta facendo alla Roma».
Quindi andare o non andare avanti con Thiago Motta?
R: «Thiago Motta era un allenatore che ci stava nel momento in cui è stato scelto, se la società ritiene che ci siano le basi per andare avanti con lui ti dico avanti con Thiago Motta…però le ultime partite hanno accesso una spia».
Alessio il calcio italiano è un calcio oggi competitivo?
R: «Assolutamente sì…è un campionato che si rende interessante con le forze che oggi ha, ma ci vogliono sempre più idee nuove, ci vogliono allenatori bravi nell’esaltare quelle idee – Simone Inzaghi su questo è un gran maestro per non parlare di Marotta che fa tanto con poche risorse a disposizione – ma soprattutto è un campionato competitivo per quelle che sono le risorse a disposizione, ma soprattutto nelle idee messe in campo ci sono delle cose interessanti, basta vedere quello che stanno facendo Atalanta e Bologna».
Soprattutto quale la direzione da intraprendere? Essere più Guardiola o Capello, Lippi, ecc?
R: « Ti dico che il calcio di Marcello Lippi era un po' il calcio di Jürgen Klopp di oggi, il calcio di Lippi è quello che mi porto dentro tutt’oggi, con il mister guai a non correre avanti a pressare…diciamo che quel calcio lì era un calcio meno da scienziati…oggi nel calcio giovanile si tende a reprimere il talento a favore di un movimento preparato da un allenatore che ha letto un libro di Guardiola…la problematica è un po' quella, abbiamo troppi allenatori che usano i ragazzini per le proprie ambizioni…».
Alessio, davvero Guardiola è stato un problema per il calcio come qualcuno dice?
R: «Il problema non è Guardiola, Guardiola ha cambiato il calcio, ha fatto il calcio vero, il problema sono coloro che lo hanno copiato pensando di essere dei fenomeni senza aver dimostrato nulla…quando parliamo di Guardiola, parliamo di un numero uno in assoluto, parliamo di un allenatore che cerca sempre di migliorarsi anche dopo aver vinto tanto…il problema è quello di voler allenare giovanissimi e allievi con sotto un libro di Guardiola…da Guardiola abbiamo tanto da imparare, però se si pensa di essere migliore di lui quella è un po' la rovina…magari la rovina di questo calcio sono quei giovani allenatori che pensano di essere i nuovi Guardiola».