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La Voce Grossa di…Amantino Mancini(intervista): «Il goal di tacco alla Lazio? Il più bello fatto nella mia carriera»


Nicola Ricchitelli – Ha indossato le maglie più importanti del campionato di calcio italiano, più di 150 presenze con la maglia della Roma dal 2003 al 2008, poi l’esperienza milanese dove indossò entrambe le maglie delle due sponde dei navigli – Inter prima e Milan poi – e quindi il ritorno nella sua terra d’origine, il Brasile, dove nella parte finale della carriera tornò a vestire la maglia dell’Atletico Mineiro – squadra in cui feci i primi esordi – e quindi Bahia, America e Villa Nova.

Sulle pagine de La Voce Grossa, il “Tacco di Dio”, accogliamo dunque Alessandro Faiolhe Amantino, al secolo Amantino Mancini.

Amantino benvenuto innanzitutto sulle pagine del nostro giornale, come stai?
R: «Molto bene e vi ringrazio di questo invito».

Vorrei partire con una piccola curiosità, all’anagrafe tu sei Alessandro Faiolhe Amantino, se non sbaglio Mancini – il tuo soprannome – ha parecchio a che fare con l’Italia…come sei passato da “Mansinho” a Mancini?
R: «Il soprannome di “Mansinho” me lo diede mia nonna, sta per mansueto, ero un bimbo tranquillo. Arrivato nelle giovanili dell’Atletico Mineiro, il mio allenatore della primavera mi fece notare che nel calcio un calciatore sopranominato “Mansinho” – e quindi mansueto – centrava poco con il calcio, ecco che “Mansinho” diventò Mancini, soprannome che a me piace molto».

In fondo seppur brasiliano, nelle tue vene scorre sangue italiano se non erro…
R: «Si mia nonna era originaria di Cornuda, un paesino di in provincia di Treviso, il nome di Amantino l’ho preso da lei, e grazie a questo sono riuscito ad avere il passaporto italiano».

Arrivasti a Roma all’incirca vent’anni fa dopo le esperienze brasiliane con l’Atletico Mineiro, quale fu il primo impatto con il calcio italiano?
R: «L’impatto fu sicuramente positivo, arrivavo in una capitale e in una città bella come Roma, mi relazionavo con un popolo caloroso come quello romano – tra l’altro molto innamorati dei giocatori brasiliani – realizzavo un sogno che era quello di giocare in serie A, che tra l’altro seguivo molto anche dal Brasile, ma soprattutto realizzavo il sogno di indossare una grande maglia come quella della Roma».


La Roma ti mandò in prestito a Venezia ma le cose non andarono per il meglio, cosa non funzionò?
R: «Venezia non fu un’esperienza positiva, calcisticamente parlando, vi era un allenatore che non mi voleva, e quindi giocai pochi minuti, però è stata un’esperienza importante poiché mi ha dato modo di adattarmi al calcio italiano, all’epoca il Venezia era in serie B, anche se giocai in una serie B dove non si faceva un calcio esaltante, era un calcio fatto di palloni sempre per aria e poca palla al piede, però Venezia mi è servita per imparare la lingua e capire la cultura qui in Italia».

Tornasti a Roma per sostituire un tal Cafù, cosa ha significato per te?
R: «Non è stato facile, per noi brasiliani Cafù è un idolo assoluto, aveva vinto tanto con la maglia della Roma, è stato un calciatore che ha rappresentato molto per il calcio non solo in Italia ma anche a livello mondiale, per me prendere il suo posto è stata una grande responsabilità, sostituirlo per me ha rappresentato una missione, e attraverso quella missione scrivere la mia storia calcistica, è stato difficile ma posso dire di aver lasciato qualcosa di me a Roma».

Diventasti il “Tacco di Dio” nel derby contro la Lazio, quel gesto fu più istinto o un qualcosa di ragionato?
R: «E’ stato il goal più bello fatto nella mia carriera, fu tra l’altro il mio primo goal in serie A, fatto in una partita così importante per la città di Roma, è stato un gesto tecnico meraviglioso e allo stesso tempo l’unico movimento che in quel momento potessi fare, poi in questi casi conta anche la fortuna, ma è stato un qualcosa che ho cercato di fare con molta maestria, quel goal così bello in qualche modo ha cambiato la mia vita, quel goal mi diede modo di farmi conoscere alla gente, sicuramente quel goal lì rimarrà per sempre nel cuore non solo dei tifosi giallorossi ma di tutti coloro che amano il calcio».


A Roma ancora ricordano la notte di Lione – era il 6 marzo 2007 – come nascono certe giocate?
R: «Quella di Lione è sicuramente un’altra delle notti che mi porto dentro tutt’oggi. Affrontavano un Lione che in quel momento era una delle squadre più forti d’Europa, aveva vinto tutto in Francia, aveva grandi calciatori, feci ben otto doppi passi, conclusosi con un sinistro potente, portammo la Roma ai quarti di finale, ma fare un goal di quel tipo in una competizione come la Champions League ti inorgoglisce molto».

Capello ma anche Spalletti e Mourinho, chi tra questi è stato determinante per la tua stagione?
R: «Innanzitutto inizio col dire che essere stato allenato da questi tre allenatori per me è stata una grande fortuna. Capello mi ha dato sin da subito fiducia, mi ha lanciato nel calcio che conta, nella prima stagione alla Roma con lui ho giocato tutte le partite, non mi ha mai sostituito, con lui ero titolare dal primo all’ultimo minuto, Spalletti mi ha dato tanto dal punto di vista del campo, è uno che insegna calcio, che ti spiega i vari movimenti, con lui scendevi in campo tranquillo perché sapevi quello che dovevi fare, sia dal punto di vista difensivo che offensivo, lui dei tre è stato quello che fondamentalmente ha contribuito alla mia crescita calcistica. Mourinho è un grande gestore della squadra, è uno che sa entrarti dentro, sa motivarti, è un grande comunicatore».

A ben pensarci oggi avresti lasciato Roma per Milano?
R: «Diciamo che in quel periodo lì la Roma aveva bisogno di soldi, aveva bisogno di fare cassa, anche se per quello che stavo facendo con la maglia giallorossa era naturale che arrivassero offerte da altre squadre, prima o poi sarebbe successo. Tolti Totti e Derossi, io ero l’unico che avevo un mercato importante, quindi la Roma decise di vendermi all’Inter».

Prima Inter e poi Milan, cosa ti ha lasciato l’esperienza meneghina?
R: «L’esperienza milanese non è stata bella come quella romana, anche se qualcosa mi ha lasciato, mi ha dato la possibilità di giocare con tanti fuoriclasse, con grandi campioni, peccato non essere riuscito a fare quanto di buono fatto a Roma».

Chi è oggi Amantino Mancini?
R: «Oggi gestisco i miei immobili, ma gestisco anche una squadra nella serie B del campionato Mineiro, l’obiettivo è quello di salire nella serie A del campionato Mineiro, e giocare contro squadre come Atletico Mineiro, Cruzeiro, stiamo costruendo anche un centro sportivo per i ragazzi».

Soprattutto come immagina il suo futuro?
R: «In futuro spero di portare a compimento i miei tanti progetti, far crescere la mia squadra, ho lasciato la mia carriera di allenatore in stand by, per adesso sono un gestore, poi si vedrà».


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