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Max Penza(intervista): «vi racconto il mio viaggio nella storia del Barletta calcio»

Nicola Ricchitelli - L’amore per la città di Barletta e la passione per i colori del Barletta calcio: «credo sia una combinazione tra l’accesa passione per la squadra che seguo spasmodicamente da quando ero piccolissimo e l’essere un amante della città…», questo ha spinto Max Penza – originario della città della disfida – ad intraprendere un lungo cammino nella storia della Barletta calcio, mettendo su un meticolosa ricerca tra tutti i calciatori che hanno indossato la maglia biancorossa.

Eccovi in la chiacchierata realizzata con Max dove non mancheranno incursioni e cenni circa i momenti imprtanti della storia biancorossa.

D: Dunque Max da dove nasce l'esigenza di ricostruire la storia del Barletta rintracciando ogni singolo nome che ha indossato la maglia biancorossa?
R:«La mia famiglia paterna è di Barletta da oltre sei generazioni, probabilmente da oltre il 1700. E io sono il primo a essere nato fuori la Città della Disfida, nel 1971. Quindi credo che l’origine ancestrale di questo mio lavoro sia da rinvenire nella recondita necessità di espiare questa colpa originaria. A parte gli scherzi, credo sia una combinazione tra l’accesa passione per la squadra che seguo spasmodicamente da quando ero piccolissimo, l’essere un amante della città – quando mi trovo in ferie a Barletta è facile scorgermi mentre passeggio apparentemente senza alcuna meta per le vie del centro - e il mio interesse, infine, per quanto attiene la storia locale e nazionale in generale».

D:  Come è nata questa idea?
R:«Se mi stai chiedendo dell’idea di passare da una semplice raccolta di informazioni ad un progetto editoriale, diciamo che l’appetito è sorto nel momento in cui ho acquistato o semplicemente visionato alcuni libri dedicati ad altre squadre e alla presa di coscienza che, sul calcio a Barletta, forse io e tutti quegli appunti, potevamo dire e fare qualcosa».

D: Vi è qualche storia legata a qualche calciatore che ti ha particolarmente colpito?
R:«Tantissime. Ogni storia ha una sua estrema dignità e meriterebbe di essere raccontata. Purtroppo non potrà mai essere così e la mia raccolta è solo un piccolo argine di fronte all’incessante lavoro del tempo e dell’oblio. Spesso molte persone, di fronte alle ricerche in cui mi sono prodigato – alcune bizzarre, alcune curiose - mi hanno suggerito di scrivere il “libro del libro”, raccontando gli aneddoti e le vicende assurde che ho vissuto per poter rintracciare alcuni protagonisti. Chissà, magari dedicherò a questo aspetto una piccola parte in appendice. Comunque mi colpiscono – e mi emozionano sempre - gli incontri per le vie di Barletta con alcuni calciatori che hanno fatto la storia della squadra cittadina. Penso, ad esempio, a Francesco Paolillo, a Paolo Cariati, ad Angelo Milillo: autentiche, immense bandiere di questi nostri colori. Vivendo fuori Barletta non capita frequentemente ma, quando succede, veder comparire sui loro volti un sorriso sincero mi ripaga delle tante ore passate a scartabellare vecchi quotidiani e riviste polverose o al telefono per contattare anagrafi o parenti lontani».

D: Vi è qualche calciatore a cui la storia non ha reso molta giustizia?
R:«In linea di massima, la storia - di suo - tende spontaneamente a non rendere mai giustizia agli ex calciatori, a meno che non siano stati dei campioni assoluti. Basti pensare a Stanislao Chiapulin a cui è stato sì intestato il nuovo stadio cittadino, ma che pochi – e sicuramente tutti con più di qualche anno sulle spalle – sanno chi fu, da dove veniva e cosa rappresentò per due tre generazioni di calciatori barlettani. Anche per questo, sento sia necessario che il mio lavoro sia più accurato possibile: perché nessuno dimentichi chi ha indossato la maglia biancorossa. Nello specifico, invece, mi viene da pensare ad un paio di ragazzi negli anni trenta che dopo aver infiammato le folle dello stadio Lello Simeone, allora stadio Littorio, con le loro discese sulle fasce e con i loro gol, trovarono la morte a causa degli avvenimenti bellici che da lì a qualche anno afflissero la nostra Italia. Già all’epoca, di loro, non si seppe più nulla. Invece, con pazienza, sono riuscito a trovare documenti e testimonianze. Il libro ricorderà sia le loro gesta sul campo sia la loro triste sorte».

D: I calciatori di oggi, calciatori lo sono di professione, chi erano i calciatori di ieri?
R:«Degli appassionati. Dei folli. Spesso entrambi. Non c’erano le cure mediche di adesso e non c’erano sicuramente le retribuzioni di oggi. Si giocava solo e soltanto per passione. Spesso, negli anni trenta, il compenso per una buona prestazione era rappresentato da una focaccia e un litro d’olio, nella maggior parte dei casi offerti da tifosi benestanti, ancora più folli. E se non giocavi, non potendo nemmeno beneficiare del “gettone” per la partita, non prendevi un centesimo. Spesso tra i giocatori, soprattutto quelli “stranieri” capitati a Barletta per i più disparati motivi, si creava una sorta di “comunità”, dove chi giocava metteva i soldi per comprare da mangiare per tutti e pagare l’affitto».

D: Aldilà del Barletta dell'era Dicosola, vi fu un undici titolare che al suo pari ha esaltato le folli del tempo?
R:«Ci fu una stagione che, a detta dei testimoni più anziani e anche in base a quanto ancora è in grado di trasmettere la lettura della stampa dell’epoca, fu particolarmente esaltante e in grado di monopolizzare la vita di una città e di tutta la Puglia sportiva. Fu la stagione 1953-54, campionato di Promozione pugliese, quando l’Andria e il Barletta diedero vita ad un testa a testa micidiale. Fecero un campionato a parte, travolgendo senza pietà tutte le avversarie. Alla fine, di punti, sui 56 disponibili contro le altre squadre del torneo, il Barletta ne raccolse 51 e l’Andria 50, questo solo per capire che andamento ebbe il campionato. Ciò che fece la differenza, tuttavia, fu che l’Andria vinse entrambi gli scontri diretti. Ironia della sorte, ciò che alimentò la trepidazione e l’attesa spasmodica fu che lo scontro diretto tra le due “vicine” coincise con l’ultima giornata del torneo, all’alba della quale l’Andria aveva 52 punti e il Barletta 51. Vinsero gli Andriesi, bissando anche tra le mura amiche il successo dell’andata, ma, qualcuno tutt’ora giura, nulla fu più lo stesso. Sull’onda di quell’entusiasmo il Barletta vinse il campionato successivo. Per la cronaca, l’undici titolare di quella stagione fu: Paolillo, Picinich, De Giglio, Gagliardi, Giuliani, Piemontese, Giannotta, Pieri, Mele, Paltrineri e Vaccari».

D:  La vittoria più esaltante e la più amara che emersa da questa lunga ricerca?
R:«Per rimanere in anni recenti, la vittoria più esaltante penso che oggettivamente sia da ricondurre alla promozione in Serie B. In quella stagione fu tutta una città a vivere la cavalcata di Scarnecchia & C. verso i cadetti. Basti pensare che le vie rimasero imbandierate e attraversate da striscioni per tutta l’estate successiva. I momenti più amari– e anche qui non spicco per fantasia e me ne scuso – sono legati ai campionati successivi al fallimento. Ricordo che nell’autunno del 2003, al termine di un faticoso viaggio di lavoro, mi fermai a Barletta proprio per la prima di campionato, quando i biancorossi, sprofondati nel torneo regionale di Promozione, affrontavano l’Atletico Trani. Pagai il biglietto all’ingresso – la ricevuta era di quelle prestampate della s.i.a.e. senza alcuna indicazione – e presto presi atto che in tutto lo stadio eravamo meno di trenta persone. Alla fine, la perdemmo anche quella partita. Ricordo che, mentre lasciavo lo stadio per andare di corsa a prendere il treno per Roma, vissi un’enorme frustrazione personale, sopraffatto com’ero dal terrore che tutto fosse finito. Per fortuna, non è stato così! Nei tempi lontani, infine, mi piace ricordare la ripresa sociale, politica ed economica della Barletta del dopoguerra, quando, pur senza soldi, senza mezzi, senza nulla, la voglia di una città di lasciarsi alle spalle i dolori e le privazioni del periodo bellico, sfociò anche in una grande e sentita partecipazione di tanti ragazzi che spontaneamente affollarono lo stadio Lello Simeone per rincorrere un pallone spesso rattoppato».

D: Nel Barletta di oggi non ci sono barlettani  ad indossare la divisa biancorossa, com'era la situazione 30-40 anni fa?
R:«Sicuramente diversa. Devo fare una premessa. Non è - e non è mai stato - facile essere calciatori e difendere i colori della propria città su un campo di calcio. Figuriamoci a Barletta. La tensione dell’ambiente spesso porta a perdere quell’equilibrio psicologico necessario per poter condurre una stagione senza sentire il peso delle aspettative, quando le cose vanno bene, e delle critiche, quando le cose vanno male. Anche e soprattutto per questo che devono essere giustamente messe in rilievo le carriere dei già citati barlettani Francesco Paolillo, portiere del Barletta per ben 12 stagioni tra gli anni ’50 e anni ’60, di Paolo Cariati, recordman di presenze con la maglia del Barletta, di Angelo Milillo, di Emanuele Dibenedetto, di Mimmo Tanzi, di Savino Dipaola e di Cataldo Gambino. Tornando indietro negli anni non posso non menzionare personaggi del calibro di Cosimo Paciolla, Giuseppe Cilli, Michele Corvasce, Ciccio Carbone e Pasquale Lattanzio. Forse ai più giovani questi nomi non diranno nulla ma, anche senza affondare a piene mani nella retorica, è giusto che si sappia che loro sono stati “il Barletta”, e il termine “Bandiera”, per tutti questi ragazzi, mai è stato più appropriato. In tempi recenti, invece, divenire una bandiera di una squadra è diventato impossibile: le aumentate turbolenze societarie, l’acuita necessità di muoversi e di costituire vera e propria merce di scambio per le dirigenze, gli obblighi contrattuali meno duraturi, i mutevoli obiettivi delle società di calcio e l’esigenza, infine, per le suddette società di “dare in pasto” al tifoso nomi di calciatori presi da tutta Italia o da tutto il mondo, impediscono ai calciatori locali di poter divenire dei simboli. Così, per esempio, basti pensare a Vincenzino Lanotte che è stato presente in diverse formazioni del Barletta degli ultimi venti anni, ma, come può facilmente comprendersi, in maniera più frammentata e non continuativa».

D: Cosa manca per vedere il lavoro concluso?
R:«Di consultare alcuni periodici degli anni trenta e quaranta e di trovare gli ultimi giocatori per i quali le tracce da seguire non sono ancora del tutto svanite. Purtroppo non troverò pace finché non scoprirò chi era tale Caroli, capitano della stagione 1933-34, e quale fosse la sua storia che, attualmente, continua a rimanermi ignota. In questi ultimi mesi ho trovato una pista e non la mollerò fino a quando non apparirà il cartello con scritto “strada senza uscita”. Intanto, però, la imbocco e vediamo dove porta. Successivamente traccerò una linea e comincerò a “lavorare” tutto quello che ho fin qui trovato, organizzandomi con le interviste residue. Spero di riuscire a imbastire tutto entro un paio di anni: partite, tabellini, maglie e storie che sto ordinando con cura. Insomma, un qualcosa che, se letto, possa rendere felice il tifoso biancorosso più esigente. Certo, devo chiedere ancora un po’ di pazienza, perché è un impegno che posso portare avanti solo nei ritagli di tempo. Nella vita, oltre alla famiglia e agli affetti, ho – e per fortuna - un lavoro, in un ambito, per giunta, completamente diverso rispetto al calcio. L’aiuto di amici e di tifosi, a tempo debito, sarà cruciale. A tal proposito, per deformazione professionale, approfitto di questa intervista per chiedere se qualche lettore conosce chi possano essere un Petrarolo e un Carli che giocarono tra il 1942 e il 1943, un Damato che giocò nella primavera del 1946, un Morini, milanese trapiantato a Barletta tra il 1945 e il 1947, un Milella che giocò nella primavera del 1948 e un Aldo Quarto detto Aldino che giocò nella primavera del 1949: calciatori che andarono a colmare per poche partite l’assenza di titolari e di cui la “memoria” ha dimenticato di tramandare il nome».

D:  Oltre te, chi ha sostenuto questo progetto?
R:«Molte persone. In primo luogo la mia compagna Cristiana, che spesso mi ha visto scomparire per biblioteche o assentarmi per ore al telefono. In qualche caso è stata addirittura lei a sostituirsi a me, come quando si recò all’Archivio di Stato di Bologna. Ma tantissime sono state le persone che mi hanno aiutato. A Barletta i primi a credere nel mio lavoro sono stati, agli albori, Francesco Capacchione fotografo ufficiale del Barletta Calcio da ormai quasi dieci anni e il mitico Umberto Casale, Presidente dell’Associazione delle Vecchie e Nuove Glorie del Calcio Barlettano, associazione da anni impegnata nell’organizzazione di partite a fini umanitari. A loro si sono via via uniti Giuseppe Savino, Nicola Scarlatino, Dario Dimastromatteo, Francesco Digiorgio, Peppe Paolillo, Marco Dambra, Luigi Putignano, per non dimenticare il forum Biangoross e tanti altri ragazzi – e chiedo loro scusa se non li nomino uno per uno – che, anche solo con un cenno, con un sorriso, hanno mostrato interesse su questo lavoro. In tutta Italia, infine, non pochi sono stati coloro con i quali mi sono confrontato, spesso mettendo insieme dati, fonti, indirizzi. Aiutandoci a vicenda, insomma: penso a Giovanni Ognissanti di Manfredonia, a Massimo Iannitti di Caserta, a Fabrizio Schmidt di Trento.. persone splendide con le quali è nata anche una profonda amicizia».

Se possedete qualche informazione particolare, qualche aneddoto, qualche cimelio, potete contattare Max Penza all’indirizzo mail: barlettacalcio@gmail.com

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