“Il Viaggio” dei Gadios tra i mali e le ossessioni della nostra società
Troppo
spesso si è visto e ascoltato i Gadjos con gli stessi occhi e con le stesse
orecchie con cui abbiamo ascoltato e ascoltiamo i Litfiba, cercando nei vari
“Fata Morgana” e sorelle varie, parole e sonorità che hanno contornato il lungo
viaggio che da quasi trentacinque anni a questa parte hanno scandito le varie
tappe della ditta Pelù – Renzulli, rendendo giustizia e ingiustizia a Raguseo e
compagnia, oscurando un rock che è proprio dei Gadjos. Innegabile come la
storica rock band fiorentina abbia segnato l’animo e il cammino dei Gadjos,
ma è altresì innegabile come “Il Viaggio” – album d’esordio della band
barlettana – raccontato dai Gadios vive di una sua personalità musicale e di
contenuti, senza dover necessariamente avvertire l’esigenza di ricercare
confronti e parallelismi vari. “ Il Viaggio” segna il chilometro spartiacque
tra gli anni consumati nei scantinati, garage e concerti tra sagre e fiere e quel
qualcosa di più che si sogna ma non si osa dire per scaramanzia. Registrato e
missato dalla DB STUDIO RECORD da Domenico “Doddo” Murgolo a Barletta, lo
stesso è stato masterizzato a Torino da Ettore Rigotti.
È
subito rock sin dalle prime note, si parte con “Il Viaggio”, nel brano
d’apertura sono racchiusi i temi principali su cui poggerà l’intero disco
d’esordio della band barlettana, con la parola viaggio a fare da filo
conduttore tra i temi che più ossessionano i nostri giorni: “la mia culla è un
viaggio nelle lacrime…fa di me tutto ciò che vuoi…è un viaggio indecente, è un
viaggi di anime….vedo tutto deserto, vedo tutto spento”, innegabili i
riferimenti ai tempi che viviamo e ai temi grigi che ogni giorni riempiono le
grigie pagine dei giornali. Sin da subito non passa inosservata l’ottima
ritmica scandita dalla batteria di Marco Pistillo e le sonorità disegnate dalla
chitarra di Antonio Lanotte. Sulla stessa falsa riga del rock si approda in
“Benvenuti qui”, dove si tocca un altro tema molto delicato e quindi quella
della mancanza di personalità divorata dalla televisione e dai rotocalchi vari,
“sono quel che sono e se ci sono non sarò quello che vuoi, andiamo a nanna con
la coscienza…”, assieme a quell’attitudine innata che da sempre scandisce le
giornate della gente, il giudicare sempre e comunque, “io ti guardo e giudico,
io ti sento e giudico…”.Si
racconta l’amore in “Storia di un diavolo”, con la tastiera di “Oz” Orofino e
la chitarra di Lanotte a creare la giusta atmosfera per raccontare quel “dai
bambino dai…” alle prese con quell’amore “che si stanca e si fende e non sai
cosa dare al niente…non mentire ai tuoi occhi…siamo lembi di carne colori e
parole”. Un brano che racconta il sentimento amore, troppo spesso vissuto in
maniera superficiale dalle nostre generazioni “le molteplici storie d’amore
sono come fobie del vento…”, un sentimento dove a volte è il solo sesso a farlo
da padrone, “la pelle ha fame, si ciba e non lo sai dei fuochi notturni…io
voglio di più, io voglio i tuoi sogni, io voglio di più in mezzo ai frastuoni…”.
È
un disco che sa di “Generazione” – titolo tra l’altro del primo videoclip della
band barlettana – con la pregevole tastiera di “Oz” Orofino ad aprire il brano e
che racconta una generazione, “grida tutta la generazione fottuto varietà,
lasciata perdere proprio lì, ostaggio degli uomini, grida tutta la generazione
lasciata all’angolo e a pagare il conto è questione di abitudine” con le sue
problematiche e i suoi mali, “dentro nel giro tolleranze come un straniero,
dentro nel giro o sei un bullo o un emarginato”, le sue sfumature e le sue
ossessioni, “che sia l’ambizione a fare da magia”, condannata a vivere la sua
vita tra televisione e telefonini “così funziona oggi il tuo giro devi
televotare“. In “Come rondini” il disco si spoglia un po’ di quel rock che ha
contornato le sonorità fin qui ascoltate – sublime le note con cui “Oz” Orofino
accompagna la voce di Raguseo nel corso di tutto il brano – dando quel tocco di
romanticismo nel raccontare un amore finito ”il tempo piange ciò che resterà,
si appassisce con la rugine…il tempo non culla ci spinge ai limiti…e tutti quei
colori si abbandonano all’inutile, ogni ricordo sfiora i tuoi capelli…”,
lasciando la speranza presto o tardi per
un nuovo amore “ e tutto passerà come rondini fragili distesi tra i pensieri,
in mano agli angeli…e ci sei qui con me in mano ad un destino incantevole“. In
“Iena” i Gadjos riaccendono la scintilla del rock, con il basso di “Renton”
Doronzo che invade con suoni di “maroccoliana” memoria. Il cuore impazzito e
sciacallo della “iena” Raguseo, vaga per la città, “corro veloce tra le teste
perse annuso tutto quello che c’è, il
mio istinto e il mio cervello tiene a galla la più nera realtà”, un brano dove
ancora una volta emerge il rigetto per i lati oscuri della nostra realtà e
della nostra società, “sono iena tra le mosche do fuoco al liquame…se tutto
quello che ti fa star male è frutto della diversità prova a sognare come i
viaggiatori non c’è tassa sulla libertà…”.
Piacevoli le atmosfere che si respirano in “Giungla selvaggia” un testo che è tutto invito a gettarsi nella mischia della giungla selvaggia “ sei disposto a gettarti nella mischia a devastare l’animale che c’è in te”, un brano di protesta contro il conformismo che spesso ci fa prigionieri “benvenuti voi borghesi rottamati, soldatini di un progetto disegnato”. Il viaggio sta volgendo al termine, non prima di una fermata nella “Gola del peccato”, un brano dove spicca in maniera ineccepibile la tastiera di “Oz” Orofino, un brano dove si concentra tutta la genialità del gruppo, fatto di sali e scendi di tonalità e di parole. “Salvami, la gola tradisce ogni suo peccato”, note che si perdono tra le vie e le fiamme del peccato, “ ti ho cercato di notte nei deserti di sale, assuefatto da una triste verità…io sarò il re delle tue fantasie”.
Chiude
il disco “Madre” – collaborazione vocale del Cavaliere Alessandro - ispirata e
dedicata alle vittime del terremoto in Emilia Romagna e Abruzzo. Un brano fatto
di “lampi di luce che annebbiano la vista e i sensi…”, e di “tramonti e
tempeste che si abbracciano a corpi e speranze”.
Piacevoli le atmosfere che si respirano in “Giungla selvaggia” un testo che è tutto invito a gettarsi nella mischia della giungla selvaggia “ sei disposto a gettarti nella mischia a devastare l’animale che c’è in te”, un brano di protesta contro il conformismo che spesso ci fa prigionieri “benvenuti voi borghesi rottamati, soldatini di un progetto disegnato”. Il viaggio sta volgendo al termine, non prima di una fermata nella “Gola del peccato”, un brano dove spicca in maniera ineccepibile la tastiera di “Oz” Orofino, un brano dove si concentra tutta la genialità del gruppo, fatto di sali e scendi di tonalità e di parole. “Salvami, la gola tradisce ogni suo peccato”, note che si perdono tra le vie e le fiamme del peccato, “ ti ho cercato di notte nei deserti di sale, assuefatto da una triste verità…io sarò il re delle tue fantasie”.