Barletta nella morsa dai “Draghi”:«Il Rugby? Uno sport duro, non violento…»
Nicola Ricchitelli - Il primo
risultato? Paradossalmente una sconfitta:« perdemmo di poco nonostante avessimo
chiuso il primo tempo in vantaggio. Fu importantissimo, iniziammo a capire che
forse non avremmo fatto un campionato tutto di sconfitte…», forse è racchiusa
in questa frase l’essenza di questo sport che nel giro di pochi anni ha
attirato a sé numerosi sportivi della città di Eraclio.
Caso vuole che
tutto nacque da uno storico lutto lasciato in eredità dal tifo e dal calcio
italiano:« i draghi nascono ufficiosamente il giorno dopo l'omicidio
dell'ispettore Raciti, quando con ancora negli occhi quello avvenuto il giorno
prima mi trovai a Roma per vedere Italia - Francia di rugby, a sei mesi dalla
finale mondiale, e vidi che 30.000 persone, italiane e francesi, vivevano in
assoluta tranquillità un pomeriggio di sport».
Con il
presidente Luigi Curci un’intervista dove ripercorriamo le tappe più importanti
di questa storia che già ha scritto numerosi capitoli.
D: Cosa ci fa questo non proprio
italianissimo qui nella sesta provincia pugliese?
R:«Il rugby in
Italia esiste dagli anni 20 ed è stato per quasi 80 anni ad appannaggio solo di
alcune aree italiane, con l'ingresso dell'Italia nel vecchio V nazioni, il
massimo trofeo continentale, l'ingresso di nuovi sponsor e della copertura
televisiva il rugby è diventato via via sempre più popolare, ad oggi per numero
di tesserati credo che siamo tra le prime 5 federazioni d'Italia, il resto lo
fa il campo, basta un placcaggio e non puoi più fare a meno, il rugby è sfida,
sudore, fatica ma
D: Come nascono i Draghi?
R:«Nascono ufficiosamente
il giorno dopo l'omicidio dell'ispettore Raciti, quando con ancora negli occhi
quello avvenuto il giorno prima mi trovai a Roma per vedere Italia - Francia di
rugby, a sei mesi dalla finale mondiale, e vidi che 30.000 persone, italiane e
francesi, vivevano in assoluta tranquillità un pomeriggio di sport».
D: Piccola curiosità, la scelta del nome è
dipeso da qualcosa in particolare?
R:«La squadra è
nata a Trani e pensammo che siccome lo stemma di Trani rappresentava un animale
mitologico, fiero e potente potesse essere un buon soprannome, poi dopo lo
spostamento a Barletta decidemmo di farlo diventare il nostro nome ufficiale».
D: Ricordi la prima formazione che scese in campo?
R:«Non me la
ricordo per intero, ricordo che molti che c'erano allora ci sono ancora oggi,
ricordo le farfalle nello stomaco, ricordo il primo placcaggio, la prima
sconfitta e la tanta voglia a dispetto della scarsa tecnica. Mi sento però di
poter dire un grazie a ognuno di quelli che sono venuti anche una sola volta ad
allenarsi, hanno un ruolo nella nostra storia, piccolo o grande non conta ma se
siamo qui è anche grazie a loro».
D: Il primo risultato storico ottenuto?
R:«Una sconfitta
ovviamente, la prima giornata, del primo campionato, contro il Santeramo,
perdemmo di poco nonostante avessimo chiuso il primo tempo in vantaggio. Fu
importantissimo, iniziammo a capire che forse non avremmo fatto un campionato
tutto di sconfitte, infatti nel corso della stagione ci levammo anche qualche
soddisfazione».
D: Quante le difficoltà nell’allestire un
progetto di controtendenza come quella di una squadra di rugby?
R:«La difficoltà
principale è quella di far capire alla gente che il rugby non è affatto uno
sport violento, è duro, ha il contatto ma non è un fight club, ci sono delle
regole precise e le sanzioni per chi sgarra sono pesantissime, per esempio da
noi il cartellino giallo, che in altri sport è spendibile per fermare
l'avversario lanciato a rete, costa 10 minuti di squalifica, e c'è una bella
differenza tra coprire un campo di 100 metri per 60 in 15 o in 14 per 10 minuti».
D: Spesso a Barletta la parola sport è sinonimo di difficoltà
soprattutto generate dal Palazzo di città, avete da raccontarci qualcosa in tal
merito?
R:«non ci sono
stati grossi problemi con l'amministrazione, certo spesso facciamo fatica a
comprendere i mille rivoli in cui si perde la burocrazia, i mille regolamenti,
le riunioni fiume, i mille uffici da girare anche solo per una semplice
autorizzazione ma è un problema italiano non solo barlettano».
D: Quale è stata la risposta del pubblico dinanzi a questo progetto?
R:«Una
grandissima risposta, abbiamo un gruppo di almeno 150 persone che ci seguono
nei nostri match in casa, certo a qualcuno abituato ad altre platee potrebbe
far sorridere ma a noi per il momento va bene così, se penso che qualche anno
erano poche decine e oggi più di 100 possiamo guardare al futuro con ottimismo».
D: Vi è stato un momento in cui avete avuto percezione di aver toccato
il fondo?
R:«Lo sconforto
come in tutte le cose della vita ci ha colpito ma come il rugby insegna finchè
l'arbitro non fischia la fine della partita devi giocare, che stia vincendo o
perdendo, devi cercare di avanzare sempre e tirare le somme solo alla fine».
D: Quali sono i valori morali che contraddistinguono questo sport?
R:«Il valore
principale del rugby è la consapevolezza che la crescita del singolo passa
anche dalla crescita dei compagni, hai bisogno di essere il migliore in campo
ma anche che i tuoi compagni lo siano altrimenti non cresci, non migliori, ai
nostri ragazzi insegniamo proprio questo il valore della condivisione, siamo lo
sport dove il singolo conta fino a un certo punto ma poi per raggiungere la
meta serve che il tuo compagno faccia la sua parte».
D: Dove vogliono arrivare i Draghi?
R:«Cinque anni
fa dissi che i draghi avrebbero raggiunto la serie B nel giro di 10 anni da
allora, siamo a metà del cammino, il gruppo storico sta pian piano abbandonando
il campo lasciando spazio a quelli più giovani, nel frattempo siamo riusciti
per il secondo anno consecutivo a costruire ben due under 14 e per la prima
volta un'under 16, tra questi ragazzi c'è il nostro futuro se sarà roseo
dipende solo dalla nostra bravura, ed è questo un altro valore del rugby, ti
insegna ad affrontare le sfide e a raggiungere gli obiettivi o a fallirli
conscio che la riuscita o meno dei tuoi progetti dipende da te, non vedrete mai
un vero rugbysta piangere per un risultato svanito e dare la colpa all'arbitro,
che si vinca o che si perda dipende solo da noi».