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La Voce Grossa di…Christian Monaco(intervista):«”Avanti un altro”? Stare davanti alle telecamere è una cosa che non mi sarei mai aspettato»


Nicola Ricchitelli – Quella di quest’oggi è la voce di uno degli autori più validi e apprezzati dell’intero palinsesto televisivo italiano, tra gli autori tra l’altro di programmi di successo come “L’Eredità” ma anche “Ciao Darwin”, Reazione a catena” e quindi “I soliti ignoti”: «... vado fiero di tutti i miei programmi, anche di quelli andati male perché ti aiutano a raddrizzare il tiro e ti mettono in discussione».

Ha iniziato la sua carriera televisiva nella sesta edizione di “Avanti un altro!” nel ruolo di giudice, nel quale il pubblico può seguirlo quotidianamente: «…stare davanti alle telecamere è una cosa che non mi sarei mai aspettato e che mi diverte molto. L’imprevedibilità di Paolo e Luca mi tiene sempre sulle spine e per me è un’emozione che si rinnova ogni puntata. E poi c’è il contatto con il pubblico che è di continuo stimolo».

Sulle pagine de la Voce Grossa accogliamo quest’oggi la voce di Christian Monaco.

Christian benvenuto sulle pagine del nostro giornale, come stai innanzitutto?
R: «Sto bene, e grazie dell’invito. In questo mondo c’è la sensazione di essere criceti nella ruota e fermarsi a chiedere come sta qualcuno dovrebbe essere un’abitudine più diffusa».

Andiamo al dunque, cosa significa essere un autore di un programma televisivo?
R: «Essere autore significa costruire qualcosa che possa piacere al pubblico cercando di portare una propria visione del mondo e della tv all’interno di un programma, è un lavoro di mediazione e di confronto tra le richieste della rete, il proprio sentire e il sentire di chi sta a casa. Ed è un lavoro di gruppo, ognuno di noi è un ingrediente e porta il proprio sapore nel piatto per cercare di renderlo il più appetitoso possibile».

Quando maturi il pensiero che la televisione potesse essere la tua vita?
R: «Fin da piccolo sono stato affascinato dalla televisione e in particolare dai quiz e dai programmi dei grandi come Mike, Corrado e Vianello. Per me erano come dei nonni e ancora oggi sono punti di riferimento importanti. A ogni festa mi facevo regalare un gioco in scatola e costringevo amici e parenti a giocare e, se non avevo giochi a disposizione, me li inventavo. Il bello è che non sapevo potesse diventare un lavoro. Tempo fa uno psicologo mi disse che il lavoro per cui siamo portati è quello che facciamo da bambini senza sapere che da adulti si viene pagati per farlo. E forse è davvero così. Però la consapevolezza che potesse diventare la mia professione è nata molto dopo, quando durante la stesura della tesi, fui assunto per uno stage all’Eredità, grazie a Stefano Santucci che intervistai proprio per la tesi e che è stato il primo a credere in me, più di quanto non lo facessi io. È fondamentale che qualcuno riconosca in te una scintilla. Prima era solo un pensiero di sottofondo per il quale non nutrivo neanche eccessiva ambizione».


Quali le responsabilità nel mettere in onda un programma per un autore?
R: «Un autore ha molte responsabilità, soprattutto nei confronti del pubblico, è il custode di una linea editoriale e deve entrare nelle case il più possibile in punta di piedi senza prendere in giro chi sta dall’altra parte dello schermo. Deve essere subito chiaro il messaggio che un programma vuol mandare in maniera tale che sia poi il pubblico a decidere se guardarlo o cambiare legittimamente canale. Poi è molto importante fare attenzione ai messaggi che si veicolano perché c’è sempre qualcuno pronto a saltarti addosso, la tv è un bersaglio facile da colpire quando invece l’attenzione andrebbe rivolta anche a famiglie e istituzioni. Pur non negando il potere che ancora oggi ha, è netta la sensazione che la tv sia usata da molti un po’ come una foglia di fico».

Perché decidi di vivere e lavorare per la televisione da dietro alle quinte?
R: «Il dietro le quinte mi ha sempre affascinato perché non si vede e quello che non si vede mi suscita fin da piccolo grande curiosità. Mi ricordo che smontavo regolarmente le cose per capirne il funzionamento, penso sia una predisposizione naturale. Oltre al fatto che ciò che sta sul palco in un certo senso è di tutti, quello che sta dietro è di pochi e poterlo raccontare, anche con tutte le difficoltà che il pubblico neanche immagina, è un privilegio».

Nella scrittura di un programma televisivo a quali miti della televisione ti ispiri?
R: «Come dicevo prima, i miei miti assoluti sono Mike, Raimondo e Corrado, oltre a Raffaella Carrà. A questi aggiungo naturalmente Paolo Bonolis. Da ragazzino guardavo “Tira e molla” con i giudici e mai avrei pensato che sarei finito io a farlo. Paolo, oltre che un genio della televisione, è una persona con uno spessore umano e professionale davvero raro e ho una infinita gratitudine nei suoi confronti. E poi ho grandissima stima per Amadeus. Oltre ad averci lavorato diversi anni a “Reazione a catena”, penso che quello che ha fatto al Festival di Sanremo negli ultimi anni, non solo televisivamente, sia eccezionale».


Quale il programma di cui vai più fiero?
R: «Io vado fiero di tutti i miei programmi, anche di quelli andati male perché ti aiutano a raddrizzare il tiro e ti mettono in discussione. Poi, certo, “Avanti un altro!” abbiamo contribuito a farlo nascere e crescere e ha un posto particolare. Con Marco Salvati, Sergio Rubino, Carmine D’Andreano, Paola Arrighi e Simona Riccardi siamo presenti dal primo giorno e vederlo ancora in onda dopo tanti anni e con tanto riscontro di pubblico è una grande soddisfazione per tutti. Da soli non si va da nessuna parte. Lo stesso discorso vale per “Reazione a catena”, costruito con Tonino Quinti e Stefano Santucci, programma grazie al quale mi sono specializzato anche nel casting. Ma anche dare qualcosa di te e del tuo bagaglio professionale a titoli storici come Darwin o l’Isola è motivo di orgoglio e qui un grazie speciale va a Celeste Laudisio e Roberto Cenci, due veri maestri di televisione».

Il tuo programma un po' mal riuscito?
R: «Un programma mal riuscito è stato “Eurogames”. Ho accettato sull’onda dell’entusiasmo perché da bambino ero fan di “Giochi senza frontiere” e ci ho messo tutto me stesso, ma non c’erano i presupposti perché riuscisse bene. In quell’occasione ho imparato che bisogna essere più razionali nelle scelte lavorative e saper anche dire dei no quando si percepisce che le cose non funzionano».

Ad “Avanti un altro” vivi la televisione dinanzi alle telecamere, come vivi quei momenti?
R:« Stare davanti alle telecamere è una cosa che non mi sarei mai aspettato e che mi diverte molto. L’imprevedibilità di Paolo e Luca mi tiene sempre sulle spine e per me è un’emozione che si rinnova ogni puntata. E poi c’è il contatto con il pubblico che è di continuo stimolo, soprattutto con quelle che bonariamente chiamiamo vecchie e che sono la forza del programma. Vedere la gioia bambinesca nei loro occhi è molto bello. Bisogna pensare che parliamo di persone che quando tornano al loro paese sono delle star perché “sono state da Bonolis”, la forza della gente comune».

Christian qual è lo stato della televisione italiana oggi?
R:« La televisione è viva e lotta insieme a noi. Certo, è cambiata la fruizione, sono cambiati i numeri, ma ancora oggi la generalista raccoglie intorno ai 15 milioni di persone di media ogni sera e aspetterei a recitare il De Profundis. Preserale e access prime time sono ancora le casseforti di molte reti e molti titoli di prima serata attraggono e non solo un pubblico anziano. In generale, però, penso che non si debba dormire sugli allori, serve più coraggio nel credere a nuove idee e bisogna anche dare spazio a volti nuovi in fasce di prestigio. Altrimenti arriveremo al punto di festeggiare il 30% di share senza accorgersi che è stato fatto con 300 persone che ti guardavano. Bisogna studiare formule per mescolare linguaggi diversi. Ad esempio, ho conosciuto molti creator che, nati su Youtube o Tik Tok, hanno comunque l’ambizione di arrivare in televisione. Ma quando si affacciano la tv li rifiuta. Ecco, penso che la sfida sia trovare chiavi che creino ponti tra questi mondi che oggi sembrano muoversi su strade parallele».


In cosa dovrebbe cambiare?
R: «Penso che la tv debba essere più ricettiva e prendersi più alla leggera».

Vi è un programma nella tua mente che potrebbe rivoluzionarla?
R: «Il programma che può rivoluzionare la tv è sempre il prossimo. Certo, se il prossimo non viene mai fatto è difficile che la rivoluzione si faccia. Come dicevo prima, servono coraggio, idee ma anche investimenti».

Quali progetti vorresti vedere alla luce affinché la tua carriera evolva ancor di più?
R: «Torniamo al criceto. Magari mi viene voglia di scendere dalla ruota e fare altro, servono stimoli e se non arrivano è giusto anche guardarsi intorno. Intanto grazie della chiacchierata e non perdetevi l’Isola…».

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