La Voce Grossa di…Michele Paramatti(intervista): «Il rigore contro l’Olympique Marsiglia? Se ci fosse stato il Var non sarebbe stato assegnato»
Nicola Ricchitelli – Quando penso all’ospite di quest’oggi la nostalgia ti avvolge, lo sguardo volge verso quel calcio che oramai non c’è più, del calcio delle “Sette sorelle”, degli anni irripetibili in cui il campionato italiano era il migliore del mondo.
Quando penso all’ospite di quest’oggi penso al fantacalcio che si faceva sui quaderni e con i fogli della Gazzetta dello Sport quando leggevi i voti il martedì, all’asta lo prendevi perché faceva anche goal ma soprattutto perché “prendeva almeno il 6”, non scendeva mai sotto il 6.5 e spesso prendeva 7.
Erano i tempi del fantacalcio senza modificatore di difesa, quindi inevitabile era il 3-4-3 e il suo nome lo scrivevo accanto a quello di Siniša Mihajlović – che faceva goal a raffica su punizione con la maglia della Lazio - ma anche Cafu e Lilian Thuram, ma quando penso all’ospite di quest’oggi lo sguardo volge al grande Bologna di Beppe Signori e Carletto Mazzone che nel 1999 sfiorò l’impresa della vittoria della Coppa Uefa.
Sulle pagine de La Voce Grossa la voce del grande Michele Paramatti.
Michele ti do innanzitutto il benvenuto sulle pagine del nostro giornale, come stai?
R: «Bene grazie e ben trovati a voi».
Chi è oggi innanzitutto Michele Paramatti?
R: «Da quando ho smesso di giocare a calcio (2004) mi occupo della mia società immobiliare che avevo avviato nel periodo in cui ancora giocavo. Era mia intenzione, sapendo che prima o poi la carriera calcistica sarebbe terminata, crearmi una attività al di fuori del calcio che mi permettesse di avere più tempo da dedicare alla mia famiglia ed anche a me stesso. Oggi mi divido tra la Romagna dove risiedo, Bologna dove ho l’attività ed il Salento di cui è originaria mia moglie Patrizia, e porto sempre le mazze da golf con me... è una grande passione ed un hobby che coltivo».
L’ultima volta che il Bologna ha fatto parlare di sé in campo c’era Beppe Signori ma anche Giancarlo Marocchi, il compianto Klas Ingesson e soprattutto Michele Paramatti - senza dimenticare che in panchina sedeva un certo Carletto Mazzone- era la stagione 1998-99…
R: «In quell’anno c’erano Giancarlo Marocchi, Beppe Signori, Klass Ingesson, Davide Fontolan, Igor Kolivanov, Kennet Andersson tutti giocatori affermati e titolari in nazionale ma c’erano anche giocatori come Carlo Nervo, Oscar Magoni, Amedeo Mangone e Michele Paramatti che avevano una gran voglia di emergere ed un buon potenziale da esprimere…Il contesto era poi quello giusto, una società solida con il “Mio” presidente Gazzoni, un comparto dirigenziale Cipollini/Oriali molto competente ed un Allenatore molto esperto, Mazzone».
Che ricordi conservi del mitico Carletto?
R: «Era un allenatore che trasmetteva pochi concetti, quelli indispensabili ma giusti, in modo semplice e sapeva gestire un bel gruppo di giocatori coinvolgendo anche l’ultimo ragazzo della lista dandogli la giusta importanza e concedendogli la possibilità di dare il proprio contributo sul campo. E tutti rispondevano alla grande. Come rispondeva alla grande il pubblico con il loro entusiasmo gremendo quasi sempre lo stadio in 30.000… A guardar bene rispecchia quasi in toto la situazione attuale…».
La vittoria della Coppa Intertoto e le semifinali in Coppa Italia e Coppa Uefa, per una piazza come Bologna cosa ha significato vivere quei giorni lì?
R: «E’ stata un’esperienza fantastica, un crescendo di emozioni iniziata con un mese di anticipo rispetto alle stagioni normali e terminata dopo 60 partite tra campionato coppa Italia e coppe europee. Devo però essere onesto, quell’annata (98/99) è stato anche il risultato di un lavoro e di una programmazione iniziata in serie C con Renzo Ulivieri al timone vincendo il campionato, proseguita poi con la promozione in serie A nel 95/96 raggiungendo la semifinale di coppa Italia culminata con due anni nella massima serie dove abbiamo raggiunto nuovamente la semifinale di coppa Italia anche nel 96/97 e la qualificazione all’Intertoto nel 97/98 dando fastidio a tutte le big del campionato».
In coppa Uefa tra l’altro fosti ad un passo da una finale tutta italiana contro il Parma, quando brucia ancora l’eliminazione contro l’Olympique Marsiglia?
R: «Brucia ancora tantissimo! Avevamo fatto una super partita al “Velodrome” di Marsiglia pareggiando 0-0 all’andata ma avremmo meritato qualcosina di più. Al ritorno partimmo subito forte ed andammo in vantaggio proprio con un mio gol…Fu una sensazione fantastica, un’esplosione di gioia collettiva che ancora mi fa venire la pelle d’oca…Purtroppo il destino, o l’arbitro che ci fischiò un rigore contro a 5 minuti dalla fine che ancora oggi grida vendetta ci negò l’accesso alla finale! Se ci fosse stato il Var non sarebbe stato assegnato, le immagini di una telecamera della tv francese mostrava che non ci fu contatto…La finale la vinse poi il Parma che noi avevamo messo in grande difficoltà in quella stagione pareggiando 0-0 all’andata ed 1-1 al ritorno raggiunti solo da un gol al 90’. La storia sarebbe stata scritta sicuramente in un modo diverso…».
Arrivasti al grande calcio a 28 anni, dopo diversi anni alla Spal però nell’estate del 1995 ti ritrovasti disoccupato, cosa ricordi di quei giorni lì?
R: «In effetti esordì nella massima serie a 28 anni…Diciamo che la mia è stata una carriera in crescendo partendo dal mio paese, entrando nel settore giovanile della Spal, andando 2 anni nei dilettanti a Russi per fare esperienza e tornare ancora alla Spal per iniziare il percorso professionistico. Vincemmo subito il campionato di serie C2 e l’anno dopo il campionato di C1 (91/92) e approdammo in serie B. Proprio in quell’anno la mia carriera avrebbe potuto avere una svolta in quanto la Sampdoria di Vialli, Mancini e Boskov (che vinse il campionato) aveva mostrato interesse nei miei confronti ma ebbi un infortunio al ginocchio che mi fece saltare l’ultima parte della stagione ed anche la prima grande possibilità. Poi l’estate del 1994 e la Spal che pensava di fare a meno di me ma dopo due mesi mi richiamò a condizioni capestro “o così o niente” ed io accettai convinto di riuscire a dimostrare che si stavano sbagliando…».
Poi arriva la chiamata di Gabriele Oriali all’epoca direttore sportivo del Bologna, ricordi ancora quella telefonata?
R: «E’ stato un periodo complicato ma non mi sono mai demoralizzato… In quell’estate andai ad allenarmi con l’Equipe Romagna a Cervia guidati da Giancarlo Magrini. Eravamo tutti senza squadra e la preparazione e l’organizzazione fu molto importante per tenerci in allenamento ed avere la possibilità di incontrare in amichevole tante squadre professionistiche e non. Proprio in occasione di una partita con il Bologna fui notato da Renzo Ulivieri ed Oriali che probabilmente poi mi seguirono anche nel proseguo del campionato vedendomi anche negli incontri tra Spal e Bologna. Ad inizio giugno del 1995, finito il campionato sono a casa, ore 23.15, sento squillare il cellulare, è Ulivieri che mi dice che mi vuole incontrare con Oriali e mi vorrebbero portare al Bologna… Mi dà appuntamento per il giorno dopo a Castel Debole per le 9.00. Alle 8.30 ero già la, ed è stata la svolta…».
Poi arriva la Juventus…
R: «Ero già d’accordo per il rinnovo con il Bologna ed aspettavo solo di firmare il contratto. A fine campionato 99/00, con mia grande sorpresa, il ds Cinquini mi disse invece che mi aveva venduto alla Lazio campione d’Italia. Il giorno successivo stavo facendo allenamento e mi chiamò per uscire dal campo con urgenza per firmare il contratto, gli dissi di aspettare la fine ma mi incalzò dicendomi che dovevo firmare subito per la Juve… Si era inserita nella trattativa ed il rapporto tra Agnelli e Gazzoni fu determinante. Corsi subito e firmai un contratto triennale con la Juventus a 32 anni…. Io juventino fin da bambino».
Due stagioni che culminarono con la vittoria dello scudetto nella stagione 2001-02 quella del 5 maggio interista, tu che ricordi conservi del 5 maggio allo stadio “Friuli” di Udine?
R: «Era il coronamento o quasi della scalata iniziata nel paesello. Anzi no, il 5 maggio juventino quello sì! Furono 2 anni stupendi, frenato un po’ dagli infortuni e dalla concorrenza spietata, scesi in campo 45 volte. Lo scudetto inaspettato all’ultima giornata ma meritato cosi come avremmo meritato di vincerlo anche l’anno prima (secondi dietro la Roma) è stato il culmine di quella stupenda esperienza. Il 5 maggio ero in campo e toccai l’ultimo pallone, poi il delirio di esultanze. Peccato non aver potuto godere dello scudetto cucito sul petto ma scelsi di tornare l’anno successivo al Bologna, per ritrovare l’Amore corrisposto interrotto».
"Gioca bene o gioca male Paramatti in Nazionale", Michele Paramatti oggi giocherebbe in nazionale?
R: «Non te lo so dire, di certo in quel periodo non si facevano tanti test e nemmeno molti esperimenti provando svariati giocatori. C’era la squadra titolare e basta, nel mio ruolo giocava quel supercampione di Maldini…Una variante del coro era anche “se Maldini si fa male Paramatti in Nazionale”…Nemmeno mai un raffreddore per lui…(ride). La mia nazionale aveva i colori rosso-blu…».