La Voce Grossa di…Dario Hubner(intervista): «La mia carriera? Ancora oggi è una bella storia da raccontare»
Nicola Ricchitelli – All’asta del fantacalcio dell’estate del 1997, tanti attendevano dal listone l’arrivo di Ronaldo “Il Fenomeno”, chi aspettava Gabriel Omar Batistuta, chi Filippo Inzaghi, Del Piero o Zidane, chi Kluivert e Weah, qualcuno Crespo del Parma, chi Delvecchio e Francesco Totti, tanti puntavano sui goal di Oliver Bierhoff e Marcio Amoroso dell’Udinese di Zaccheroni.
Poi un pomeriggio del 31 agosto del 1997, nel mentre sdraiati in spiaggia seguivamo “Tutto il calcio minuto per minuto” da San Siro arriva la voce mista di sorpresa e incredulità di Livio Forma, si giocava la prima giornata del campionato 1997/98 e a San Siro si gioca Inter - Brescia, i 69.682 spettatori del “G.Meazza” aspettavano i goal di Ronaldo “Il fenomeno” che in quella partita segna il suo debutto, però al minuto 73° un lancio di un tal Andrea Pirlo pesca in area un non giovane numero 11 che proprio quel giorno fa il suo esordio in serie A, è spalle alla porta, stoppa la palla con la coscia, si gira beffando il suo diretto marcatore Fabio Galante e insacca alle spalle di Pagliuca, quel pomeriggio la serie A faceva la conoscenza di Dario Hubner.
Gli inizi nelle serie minori - Pievigina e Fano – poi l’affermazione in Serie B con la maglia del Cesena, fino all’approdo in serie A dove vestirà le maglie di Brescia, Piacenza e Perugia. Nella stagione 2001-02, con il Piacenza, ha segnato 24 gol e si è laureato capocannoniere della Serie A, a pari merito con David Trezeguet della Juventus. È l’unico calciatore ad aver vinto la classifica marcatori in Serie A, Serie B e Serie C1.
Era soprannominato "Tatanka", per il suo stile di gioco potente e combattivo ed era famoso per il suo stile di vita semplice: amava la birra, le sigarette e il calcio senza troppi fronzoli.
Sulle pagine de La Voce Grossa il grande Dario Hubner.
I tuoi anni sono stati quelli di Ronaldo “Il Fenomeno”, di Roberto Baggio, di Zidane, di Totti e Del Piero, ma di quegli anni si parla anche di Dario Hubner, cosa pensi di aver lasciato al calcio italiano?
R: «Aldilà dei numeri e dei goal, importante è stata la storia della mia carriera, a vent’anni in Prima Categoria, poi l’Interregionale, la ex Serie C2, e quindi di lì a salire dalla serie C1 alla serie B fino all’approdo in età adulta in serie A, non mi sono fatto mancare nulla, e questo mio percorso tutt’oggi rappresenta la speranza di tanti ragazzi che giocano nei cosiddetti campionati minori di poter approdare un giorno nel calcio che conta, così come tanti ragazzi sperano di ripercorrere la mia stessa strada, posso dire che la mia carriera in tal senso è un po' un punto di riferimento e ancora oggi rimane una bella storia da raccontare».
Negli anni della Prima categoria ti saresti aspettato di arrivare un giorno in serie A?
R: «Sinceramente no…Quelli erano anni in cui un giocatore a 30 anni era oramai da considerarsi “vecchio”. Ho iniziato a giocare in Prima Categoria e ho iniziato per divertimento, diciamo che il grande salto in qualche modo arrivò con l’approdo al Pievigina nel campionato Interregionale dove ebbi modo di toccare con mano il calcio professionistico, cosa significasse il calcio, poi arrivarono altre esperienze, ho scalato tutte le categorie, ma quando ho iniziato non mi aspettavo sinceramente di ritrovarmi in serie A un giorno, è stata la dimostrazione del fatto che nella vita non si sa mai cosa può succedere».
Il 31 agosto 1997 allo stadio San Siro si gioca la prima giornata del campionato 1997/98, Inter – Brescia, davanti a 69.682 spettatori è pronto a debuttare un tal Luís Nazário de Lima – Ronaldo “Il Fenomeno” – ma al minuto 73’ cala il gelo sullo stadio “G.Meazza”, Brescia in vantaggio…goal di uno sconosciuto Dario Hubner…
R: «Il solo esserci per me fu una grande soddisfazione, arrivai a San Siro davanti a circa 80.000 persone dopo una vita fatta di sacrifici, fu il cerchio che si chiudeva, ero orgoglioso di me».
Hai giocato con tanti campioni, uno su tutti Roberto Baggio…
R: «Roberto Baggio prima di essere un calciatore era una persona eccezionale, umile, simpatico, non ha mai fatto pesare il suo talento, la sua importanza, arrivò a Brescia da idolo del mondo, era difficile per noi trattarlo come una persona normale, ma per noi lui era semplicemente Roberto, ci mise subito a nostro agio. Chi era Roberto Baggio come calciatore penso che non lo debba spiegare io, la sua storia parla per sé».
Con in panchina il “Sor” Carletto…Carletto Mazzone…
R: «Carletto era una persona molto particolare, era una persona seria, schietta, era un allenatore di vecchio stampo, era un allenatore che ti dava tranquillità, ti veniva facile ascoltarlo, era un allenatore che ti dava la carica necessaria per lottare fino al 90° minuto e anche oltre».
Nell’estate del 2002 – l’anno del mondiale in Corea e Giappone – vivi una tournée americana con la maglia del Milan, vi fu davvero la possibilità di indossare la maglia rossonera o fu solo marketing?
R: «Era un po' marketing ma il Milan cercava anche degli attaccanti per la stagione successiva. Quello era l’anno dei mondiali, la società rossonera si avvalse di alcuni prestiti – tra cui Max Tonetto, Conticchio, Zauli ecc - per fare la tournee americana, poi al momento della trattativa tra Piacenza e Milan, la società rossonera non aveva i giovani che potevano servire al Piacenza – volevano un terzino e un centrocampista – fu una questione di prestiti che non andò in porto».
Dario il difensore più difficile da affrontare?
R: «Ogni domenica vi era un difensore difficile da affrontare, di difensori bravi ve ne erano tanti se non troppi per noi attaccanti, il più forte che ho affrontato è stato in assoluto Alessandro Nesta, lui era quello che non ti faceva toccare palla, però ogni domenica vi era da lottare, ora con Thuram, ora con Samuel e Materazzi, Aldair, Montero, Ferrara, ma Nesta più di tutti era quello che ti anticipava in maniera pulita e non ti accorgevi che ti marcava, era molto bravo a leggere determinate situazioni offensive».
Quale il goal più bello e altresì importante che ti porti dentro?
R: «I goal devono essere importanti, se sono belli ma non importanti servono a poco, mi porto dentro il goal del debutto in serie A, la tripletta alla Sampdoria la giornata successiva, la doppietta all’Hellas Verona con la maglia del Piacenza in uno spareggio salvezza l’ultima giornata di campionato che ci valse la permanenza in serie A, l’ultima doppietta a Cosenza con la maglia del Brescia che significò serie A, il goal è bello quanto è importante».
È più facile essere calciatore oggi o negli anni 90?
R: «Negli anni 90 contava quello che facevi nel campo, contavano i goal, contava come giocavi, oggi con i social in tanti guardando anche quello che fai quello che fai fuori dal campo, un tempo si giudicava il calciatore per quello che faceva in campo, oggi subentrano altre dinamiche».
Un attaccante oggi che in qualche modo ricorda Dario Hubner?
R: «Ogni attaccante è unico, ognuno ha le proprie caratteristiche, uno che mi piaceva molto ai tempi del Torino era Andrea Belotti, mi assomigliava molto, era un centravanti che combatteva molto, tra Roma e Como un po' si è perso ma ai tempi del Torino mi entusiasmava molto».
La tua sigaretta non è mai stato un mistero, secondo te oggi ci sono ancora calciatori che fumano, magari di nascosto?
R: «I giocatori sono esseri umani, le cose belle piacciono a tutti, ai miei tempi fumavano in tanti ma di nascosto, a me non importava nulla di nascondermi, fumavo anche davanti ai giornalisti, oggi come ai miei tempi si continua a fumare ancora».