La Voce Grossa di…don Rino Caporusso(intervista):«#iorestoacasa…come diceva don Tonino Bello, restiamo alla finestra, perché alla finestra c’è la speranza»
Nicola
Ricchitelli –Il silenzio della quarantena gira la città, ci siamo tutti dentro,
e ci porta fin quà, in un altra parte della città, in un'altra periferia della
città di Barletta - quasi ai piedi dell’ospedale “R.Dimiccoli” – lì dove
quarantena e silenzio quasi si amplificano.
Siamo
idealmente nel silenzio che avvolge la chiesa di San Paolo Apostolo, ad
accoglierci quest’oggi le parole di don Rino Caporusso.
Don
Rino cosa vede in questo momento attorno a sé?
R:«Vedo
sostanzialmente due sentimenti contrastanti: in primis la paura che è il
sentimento più naturale in questo momento, per quello che sta succedendo, per
quello che assistiamo, e per le notizie che ci giungono tutti i giorni. Una
paura che fa parte dei nostri sentimenti, io stesso ho paura e non me ne
vergogno nell’averla. Quello che conta però in questo momento è che questa
paura non si trasformi in panico, il panico toglie l’aria, paralizza la vita,
quindi non dobbiamo farci condizionare dalla paura. Dobbiamo altresì
trasformare questa paura in preghiera, trasformarla in collaborazione, dentro
casa, nel rispetto delle regole, e pensare che quello che stiamo vivendo oggi
altro non è che un giorno in meno della quarantena».
In
cosa dobbiamo cercare la presenza del Signore in questo momento che stiamo
vivendo?
R:«Ti
rispondo con l’antichissima domanda: se il male è presente nel mondo dov’è Dio?
Una domanda che ha sconvolto i cuori e le vite di molti filosofi e pensatori.
Sono convinto che questo momento che stiamo vivendo è il tempo delle domande.
Facciamoci domande, senza avere poi la smania di rispondere immediatamente.
Questo è un tempo che ci fa crescere. Di fronte a tante tragedie di cui sono
pieni i libri di storia, perché c’è il silenzio di Dio? L’interrogativo non è
su Dio bensì sull’uomo, che in un delirio di onnipotenza è entrato in un
vortice e ha disgiunto il progresso dal benessere, sicché la scienza e la
tecnica possono produrre ad un certo punto anche del male. No. Questo non è
giusto, è contro la ragione umana, contro l’intelligenza e quindi contro
Dio».
Quale
deve essere oggi più che mai il ruolo di un sacerdote per la propria comunità?
R:«In
questa situazione insolita che stiamo vivendo non abbiamo scelto il consueto
fioretto quaresimale ma c’è stato imposto. Il sacerdote deve essere l’uomo
fedele della Parola e non semplice uomo di parole. Intendo dire che la gente
deve capire che il sacerdote c’è, e deve rispondere sempre presente quando
viene chiamato, e noi sacerdoti in questo periodo siamo chiamati continuamente.
Difficile spiegare cosa sono diventati in questo momento sia i nostri cellulari
e sia i vari canali di comunicazione della parrocchia. Si fondono messaggi di
richiesta di preghiere e di preoccupazione per noi sacerdoti, ma anche di
incoraggiamento, d’aiuto, di paura, di disperazione, ma anche di terrore –
soprattutto per gli anziani – ecco, la gente ci chiama, mi chiama, ed io dico
CI SONO, perché voglio essere prossimo a te anche se siamo distanti. Non ho
risposte logiche a tutto, ma io sono presente e con me è presente la PAROLA,
questo è fondamentale. Nella nostra situazione particolare del coronavirus,
bisogna inventarsi come essere prossimo. In tal senso la rete ci aiuta molto,
difatti sono stati pensati degli
appuntamenti fissi, dove più volte al giorno, sia alle 12, che alle 19 e alle
21, la comunità di San Paolo Apostolo ha la presenza dei propri sacerdoti in
casa, per mezzo della loro voce tramite le chat dei vari gruppi e tramite la
diretta su Facebook dalle 18.30 fino alle 19.30. Abbiamo una fitta rete di
giovani e di famiglie. Questo è un modo per riunirci ad ascoltare, ascoltarci,
sostenerci ed essere prossimi».
Per
anni ha svolto il proprio ministero nelle terre del Brasile... Quello che
stiamo vivendo è paragonabile a quello che si vive tutti i giorni in quelle
terre?
R:«Diciamo
che noi stiamo vivendo qualcosa di straordinario, in quelle terre questo nostro
vivere straordinario per loro è ordinario. In questo memento storico, siamo
segregarti ma in fondo non ci manca niente, siamo impazienti, un po’ nervosi…in
Brasile nelle zone dove ho svolto il mio ministero, dalle parti dell’Amazzonia,
vivevamo tutti i giorni l’emergenza. La gente ci si alzava la mattina
chiedendosi se avrebbe mangiato, attenzione, non cosa avrebbe mangiato ma se
avrebbe mangiato…».
C'è
qualcosa di positivo che possiamo trarre da questa esperienza?
R:«Ci
sono molte cose positive da trarre da questa esperienza, dalla nostra umanità
alla nostra spiritualità, due cose molto unite e collegate. L’uomo
contemporaneo deve accettare il senso del limite, il limite è come una porta –
cosi come dice qualche filosofo – che può essere aperta solo con una
possibilità, si può varcare il limite solo attraverso la fede. Il limite fa
parte della nostra dignità, il limite ci mette di fronte alla nostra umana
natura, e allo stesso tempo ci sottrae al limite di onnipotenza, di tracotanza,
di eccesso che già nel mondo greco era condannato – hy bris – e quindi quel non
vivere la pienezza dell’umanità e quel volersi sostituire a Dio, un concetto
tra l’altro già espresso nella Divina Commedia e in tante opere letterarie
della nostra bella cultura italiana».
Come
dovremmo vivere questo tempo libero che per forza di cosa abbiamo a
disposizione?
R:«Ognuno
di noi dovrebbe vivere questo tempo come l’inizio di un risveglio, un risveglio
dove ad un certo punto assaporiamo cose che non si ricordavano più ma che
sempre abbiamo avuto, e che addirittura erano a nostra portata di mano. Lo
stress di ogni giorno non ci faceva gustare davvero ciò che sempre abbiamo
avuto. Questo tempo è il tempo della famiglia, il tempo del silenzio, quello
religioso, quello umano, contemplativo, il tempo della prossimità immediata,
valori che abbiamo messo la secondo posto – ma anche al terzo e al quarto – e
che oggi stiamo capendo come sono necessari, per una vita più umana e
spirituale».
Don
Rino chiudo chiedendogli di lanciare un appello #iorestoacasa perché?
R:«
#Iorestoacasa perché questo sacrificio ha un senso, un significato. Noi dobbiamo
essere uniti come comunità, fare il massimo ed essere convinti che rimanere a
casa per la propria salute, dei propri cari, e dell’umanità tutta è
fondamentale. Noi dobbiamo restare a casa, come diceva don Tonino Bello,
dobbiamo restare alla finestra, perché alla finestra c’è la speranza. Adesso è
il momento di stare al di quà della finestra, dentro casa, perché stare vicini
alle persone a noi care ci fa ritrovare le cose essenziali, le relazioni
autentiche, ci permette di guardarci negli occhi. Tutte cose che ci stavano
mancando e che stavamo perdendo. Inoltre non lasciarsi di fissare lo
sguardo.....alla finestra».