Header Ads

GUANO PADANO "Back and Forth" IL NUOVO EP DISPONIBILE DA OGGI SULLE PRINCIPALI PIATTAFORME DIGITALI


Un’antica leggenda del 2012, una leggenda vera, dice che Bill Frisell ascoltò casualmente un disco dei Guano Padano negli Stati Uniti e che fu conquistato dal loro suono cinematico, caldo, vibrante, denso di riferimenti filmici e visionario in proprio. E che, pochi anni dopo, il destino sincronizzatore li mettesse insieme sullo stesso palcoscenico di JAZZMI, Frisell con il suo Music for Strings e i Guano Padano ad aprirgli l’estasi con il loro cinema per le orecchie.

A quell’incontro fortuito seguì la collaborazione a distanza che ora viene alla luce in questo Ep intitolato “Back and Forth”, avanti e indietro, come la loro musica tra i continenti, come i continui riavvolgimenti cui sono destinate le pellicole e le vite romanzesche. Ospite fisso in tutt’e quattro le tracce del disco è il cantante e strumentista di molti strumenti Sam Amidon, famiglia d’artisti e americano del Vermont.

Ad aprire le visioni è la chitarra celestiale di Bill Frisell. E’ straordinario come bastino due sue note e il mondo smetta subito di sputare sangue. Il pezzo è di Paul Motian, mai inciso dall’autore. S’intitola “Prairie avenue cowboy” e ci porta a passeggio nei campi elisi del western onirico con una soavità che si taglia con una piuma. Se non è di questo pezzo che l’umanità aveva bisogno in questo anno tremendo, che gli Dei della musica ce ne mandino un altro identico.

Segue “Cereno”, ispirato al lungo racconto di Herman Melville che il suo traduttore Cesare Pavese aveva definito “perfettissimo”. Proiettati dalla musica, eccoci su quel legno da foche, nella paralisi di una bonaccia che prelude allo scoppio della ferocia. Calma del mare, quiete dei capitani, apparizione del demoniaco Babo: tutto è fermo nello scricchiolio dello scafo, nel presentimento dell’abisso. Il canto trasognato di Amidon evoca le tempeste passate sapendo che il peggio deve ancora venire.

Ma cos’è che dà così tanta forza cinematica alla musica dei Guano Padano, se non questa loro capacità di creare il buio intorno, di spegnere la luce sulla fuorviante realtà e di ingigantire i dettagli dell’immaginario collettivo?

Prendiamo per esempio il successivo “Short life”. Dicono che per fare un blues basti un padrone avaro, una donna spietata o un mulo testardo. Ma per fare un pezzo di bluegrass tradizionale come questo, occorrerà metterci anche certe vecchie ballate delle isole inglesi, i merletti di un fiddle e gli Appalachi come muro da riverberi. Se poi ci aggiungiamo la scoperta dell’elettricità, gli arpeggi lancinanti di una Fender, la voce disincantata di un cuore infranto, ecco che la rottura unilaterale di una promessa di matrimonio acquista il sapore epico di un destino ineluttabile, una perdenza gustata fotogramma per fotogramma fino ai titoli di coda.

Chiude il disco una suite di tre pezzi “Un occhio verso Tokyo”, “Jack Frost” e “Sugar baby”, un lungometraggio sonoro di quasi 11 minuti che riunisce due pezzi originali dei Guano Padano con un pezzo tradizionale reso celebre da Dock Boggs. Ancora una volta avanti e indietro nel tempo e nello spazio, dal Giappone all’Artico e agli Appalachi, e senza mai muoversi da uno studio di Brescia. Del resto, Sergio Leone non ci faceva vedere i canyon e i saloon da Cinecittà?

Nessun commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.

Powered by Blogger.