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Barletta, «Sto cercando i miei genitori naturali». Quando nella città della disfida si abbandonavano bambini


Nicola Ricchitelli - Il nostro lungo girovagare tra le periferie di Internet ci ha portato quest’oggi a conoscenza, nonché a far luce, su un fenomeno chissà quanto ancora diffuso, ma che di sicuro non ha risparmiato in passato molti nascituri di Barletta durante gli anni 60.
« Ciao, io sono Margherita…, alla nascita Margherita S…, sono nata a Barletta il … e sto cercando i miei genitori naturali. Mia madre porta il nome di Antonia S. e mio padre Michele S. Abitavano a Barletta in via San Samuele 15. Persone di loro conoscenza si chiamavano Lucia D. e Nunzia D. La mia data di nascita è …, sono stata abbandonata nella chiesa di S. Agostino a Bisceglie il 29-5-1958». Fine anni cinquanta, così come accennato sopra per l’appunto, due anni prima il 14 Marzo 1956 alcuni spari costarono la vita a dei civili: due braccianti Giuseppe Dicorato e Giuseppe Spadaro e un operaio Giuseppe Lojodice, morirono a seguito di una manifestazione di circa 4.000 donne e braccianti disoccupati che chiedevano  un'immediata e non discriminatoria distribuzione dei pacchi di viveri ed indumenti, già promessi dalla Pontificia Opera di Assistenza (POA), giacenti nei suoi depositi. Seguì l’attacco della polizia al corteo il quale si stava dirigendo verso i depositi sparando sulla folla. Capire da che parte stiano ragione e torto non è cosa facile, perché in certi casi la ragione non esiste quando uomini perdono la vita perché avevano fame. Ma cosa sono stati gli anni 60 a Barletta? Erano gli anni dove i numeri parlavano più di ogni altra cosa, una Barletta abitata da circa 65.000 abitanti, 2600 braccianti agricoli disoccupati, 2000 disoccupati nell’industria e più di 1000 nel settore edilizio senza contare la schiera di sotto occupati (memoriale redatto dalle delegazioni dei Gruppi socialista e comunista giunti a Barletta a seguito degli episodi del 1958). Dalla storia di due delle tre vittime è possibile risalire a cos’era Barletta in quegli anni: Giuseppe Spadaro era un uomo di 49 anni, sposato, padre di sette figli; era un bracciante permanente e non possedeva che un letto, una sedia e un tavolo e qualche suppellettile. Aveva circa 1000 lire di debiti, al negoziante doveva dei soldi per l’acquisto di farina, olio, pane, mentre aveva da pagare ancora quattro mesi di prigione, una casa che iniziava e finiva in una stanza e dove vi dovevano convivere nove persone oltre ai letti, al tavolo, al camino. Quella mattina Spadaro era uscito di casa per procacciarsi qualcosa da mangiare, visto che negli ultimi due mesi aveva lavorato per soli due giorni per spalare la neve e non lavorava più con regolarità dalla vendemmia. Stessi connotati la storia di Giuseppe Dicorato – giovane ventottenne con un padre a carico di sessantuno anni, malato e nullatenente, nonché senza pensione di sostentamento – che per sposarsi aspettava solo di trovare un lavoro. Di tanto in tanto si improvvisava scaricatore al porto ma niente più, da qui comprensibile come molte famiglie, date le carenti condizioni economiche, preferivano abbandonare i loro figli. L'abbandono dei neonati è un fenomeno antichissimo ampiamente utilizzato in alcune società arcaiche. In Italia fino all'unità il fenomeno fu prevalente al Nord, mentre sul finire del XIX secolo fu prevalente nel Mezzogiorno. Nel XX secolo si è ridotto rimanendo comunque di proporzioni rilevanti: negli anni cinquanta i casi di non riconoscimento alla nascita, ai quali è necessario aggiungere anche alcuni casi di abbandono successivi, erano circa 5.000 nel territorio italiano. Da allora le nascite sono diminuite circa del 39%, mentre i non riconoscimenti alla nascita del 91% arrivando circa a 400 casi ogni anno.

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