“Colein”, era il figlio del “Ghigghero” e per le strade di Barletta gridava “da U’trabucc”
Nicola
Ricchitelli - Dorme Barletta dopo l’ennesima giornata di lavoro, di problemi,
di bollette da pagare e di bollette non pagate. Dormono i fumi delle fabbriche
che inquinano il cielo di Barletta, da via Foggia a via Trani, lì dove puttane
e travestiti salgono e scendono da una macchina a l’altra . Dormono Ettore
Fieramosca e Monsieur Guy de la Motte tra i giardini fatiscenti di quel vecchio
castello e dormono pure i fantasmi che ne popolano le sue stanze. Dormono i
vicoli del quartiere Santa Maria, e dorme rassegnata quella vecchia cattedrale
che da oramai un decennio attende di poter ritornare a fare bella mostra di sé,
e che per il momento ha pensionato le sue campane. Dorme via Cavour e le campane di Santa Lucia,
la santa di Siracusa veglia sulle sofferenze di quei bambini stipati tra le stanze
di quel vecchio ospedaletto, mentre nel bel mezzo della via, vanno man mano placandosi
i bassi di una caotica discoteca. Dorme Barletta, mentre spariscono le
autoradio dalle macchine, mentre le siringhe mangiano le vite di una
generazione.
È
quasi mattina ed è quasi ancora notte, dal civico 75 di corso Cavour, Colein
sta tirando fuori la sua motoretta che conti alla mano è più vecchia di lui, è
una vecchia puttana, di quelle che il detto gallina vecchia fa buon brodo
proprio non gli si addice, decide lei il bello e il cattivo tempo delle
giornate, quanto gli gira per il verso giusto lo porterà fino ai confini della
città, ma quanto si accenderà con la luna di traverso, metterà il broncio nel
bel mezzo di una via di Barletta e farà guadagnare al vecchio lupo di mare un
bel chiletto di purgatorio con le sue bestemmie, non ne tralasciava manco una,
recitava il repertorio con rabbiosa precisione anche se poi dal meccanico
facevano pace e tornavano più uniti di prima.
Iniziavano
così le sue giornate, senza un buongiorno ma con un segno di croce, salutando
con un Ave Maria la Madonna dello Sterpeto e a San Trifone chiedeva di mandargliela
buona. Poi come quel rocker in una sua vecchia canzone si sedeva in sella alla
sua moto e squarciava il silenzio di quel che restava della notte con il rombo
stanco di quel vecchio motore, solita strada e solito itinerario, costeggiando
dapprima il castello e poi la cattedrale di Santa Maria, fino a scendere quelle
vecchie mura per ritrovarsi dinanzi a San Cataldo con la porta di San Leonardo a
giganteggiare davanti ai propri occhi. In perfetto orario faceva il suo
ingresso al molo nel mentre i pescherecci rientravano dopo una notte di pesca,
di rientro da quel mare che aveva imparato a conoscere sin da bambino, perché
Colein aveva visto una guerra ma fu in quel mare a bordo di una barchetta – di
quelle che i pittori amano disegnare per dare un po’ di poesia ai propri quadri
- che vinse più di mille battaglie, lui,
la barchetta, suo figlio Francesco e il fido socio che aveva un soprannome che calzava
a pennello con la situazione, Ulisse. Colein non ne sapeva nulla del pesce che
arrivava dalla Grecia o da chissà dove, Colein storceva il naso dinanzi a tutto
ciò che fosse di allevamento, Colein amava il pesce che aveva l’odore del mare
e i frutti che ancora ne conservassero i suoi suoni. Che fosse davanti al
portone del civico 75 di via Cavour, o la mattina, tra l’andirivieni della
gente fra i banchi del mercato di via Fieramosca, Colein gridava con orgoglio
il suo essere lupo di mare, lo gridava senza mai stancarsi tra le strade di
Barletta, gridava da U’trabucc, e non vi era quartiere che non aveva imparato
ad amarlo. Il rumore della sua moto e il suono strozzato del clacson, erano
segni inequivocabili che Colein era arrivato con il suo carico di pesce fresco,
con i suoi “sardullein”, i suoi merluzzi da dare ai bambini e il “ciambotto” da
preparare per i propri mariti.
Colein
era il marchio di fabbrica di corso Cavour, ne era il suo segno distintivo,
perché il bar era di fronte a Colein che vende i “sardollini”, e non vi era
negozio e attività che era prima e dopo Colein che vendeva i pesci.
Sapeva
a memoria ogni battuta di Totò e amava i western specie quando Clint Eastwood all’ultimo duello freddava
Gian Maria Volontè, si estasiava al grido di Eli Wallach che allo stesso Eastwood
gli cantava del figlio di puttana e quasi si commuoveva al suono del carillon
di Lee van Cleef nel film “Per qualche dollaro in più”, e una, due, tre, cento e mille volte rivedeva
con lo stesso stupore Charlton Heston battere Messala nella famigerata scena
dei cavalli del film Ben Hur.
In
fondo tifava Milan, e dopo i 120 minuti della finale di Pasadena contro il
Brasile nel 1994, si alzò dal tavolo per andarsi a coricarsi non prima di aver
sputato la madre di tutte le sentenze, abbiamo perso mi disse, senza manco
vedere Baresi e Baggio – provvidenza Massaro invece un rigore se lo fece parare
- mandare nel cielo a stelle e strisce i sogni di gloria azzurri.
Conobbe
Piripicchio e raccontava di quanto a San Giovanni Rotondo vedeva Padre Pio
celebrare messa, fu l’ultimo baluardo di una famiglia che al mare e dal mare
avevano dato e avuto non so se poco o tanto, ma di certo era in quelle acque,
tra quelle onde e quelle mareggiate, sfidando talvolta anche la sorte che
bisognava andare a guadagnarsi il pane, questo gli insegnò suo padre Francesco
detto il “Ghiggero”, un omone che giunse da Molfetta per affondare le sue
radici nella città di Eraclio e che a cavallo tra gli anni 60 e 70 apri una pescheria in quella piazzetta
dove si incontrano via Cialdini, via Duomo e lì dove finisce corso Garibaldi.
Non si perdeva in frase fatte, ne in discorsi spiccioli, mi insegnò che il
lavoro era tutto nella vita, e fanculo il fatto che nobilita l’uomo, con quello
ci porti il pane a casa e ci cresci una famiglia, mi diceva di non guardare mai
il calendario e di fregarsene delle feste in rosso, bisognava difenderlo
sempre, con le unghie e con i denti, mi ha insegnato a non avere timori
reverenziali nei confronti di capoccioni e caporali, perché finché avrai le
mani spaccate ad andare con la testa alzata e ad avere ragione sarai sempre e
solo tu. In fondo l’addio di dieci anni fa nel giorno di San Pietro fu solo una
formalità, perché dapprima iniziò a morire dentro quando non vide più il suo
mare e le strade di Barletta che tanto
aveva amato.