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La Voce di…Mons.Leonardo D’Ascenzo(intervista): Anche in un momento difficile come questo il Vangelo continua a risuonare come buona notizia»

Nicola Ricchitelli - Siamo giunti nella settimana più importante per tutta la Cristianità, è la Settimana Santa, i giorni in cui si celebrano la Passione, Morte e Resurrezione di Gesù Cristo, ma sono altresì giorni difficili non solo per le nostre comunità ma per l’umanità tutta.

Difficile parlare di Resurrezione in questi giorni fatti di numeri che narrano sofferenza ma soprattutto morte, soprattutto è difficile vedere un orizzonte, una luce, nei racconti che ci giungono da ogni qual si voglia reparto di rianimazione di ogni qual si voglia ospedale del nostro Paese.

Nel nostro spazio dedicato alle interviste quest’oggi le parole di Mons. Leonardo D’Ascenzo – Arcivescovo dell’Arcidiocesi Trani – Barletta – Bisceglie - e nelle sue parole il messaggio di speranza per questi giorni di dolore che stiamo vivendo e per quelli che ci aspettano nei prossimi mesi.
Mons. D’Ascenzo faccio i doverosi ringraziamenti per la sua testimonianza qui sulle pagine del nostro giornale quest’oggi. Come sta vivendo questi giorni così tristi per la nostra esistenza?
R:«Sto vivendo le giornate di questo periodo secondo le indicazioni delle nostre autorità, sia ecclesiali e sia civili, non perdendo il contatto e le relazioni  con i fedeli e con il clero diocesano. In questo momento sento di dover fare sentire la mia voce di padre e pastore per quanto possibile con tutti. Grazie alla tecnologia telematica e ai social ho la possibilità di imbastire videocollegamenti con il clero delle diverse città, con i miei vicari episcopali. Gli stessi documenti con le indicazioni per questo tempo di emergenza e per la Settimana Santa sono il risultato di confronto e consultazioni in videoconferenza. E grazie ad alcune emittenti televisive del territorio – Amica 9, Easy Tv, Teleregione e Telesveva - , alle quali esprimo sentimenti di riconoscenza, posso presiedere celebrazioni eucaristiche e momenti di preghiera,  che, pur nella distanza fisica, però hanno dato la possibilità di tenere viva la comunione ecclesiale e spirituale tra i fedeli. Naturalmente rispondo alle telefonate e ai messaggi che mi pervengono. E, aspetto non secondario, che sempre va messo al primo posto, annovero  il tempo per la preghiera al Signore per invocare da lui forza e coraggio per tutti, e il suo aiuto per superare questo momento».

Quale parole di speranza sente di dover lasciare alle nostre comunità?
R:«Mai cessare di sperare! Da tutti i punti di vista! Le notizie che riceviamo, ci fanno intravedere segnali di rallentamento dei contagi, con l’aumento delle persone dimesse, anche se, molto probabilmente, siamo ancora lontani dal poter riprendere la vita normale. Sappiamo che in tutto il mondo uomini e donne di scienza sono alla ricerca di un vaccino o medicinale per debellare il coronavirus. E poi penso alla solidarietà che da più parti si è fatta sentire con gesti di aiuto concreti. Sul piano più spirituale e religioso, mi sento di riprendere la riflessione di qualche giorno nell’omelia nella messa della Domenica della Palme: «Anche in un momento difficile come questo, il Vangelo continua a risuonare come buona notizia. Gesù ha sperimentato la solitudine umana, e ora più di ogni altro comprende la nostra paura, smarrimento, sfiducia, sofferenza e, come dicevamo solitudine». Anche se sperimentiamo impotenza, «abbandoniamoci nelle mani  di  un Padre buono, del quale ci fidiamo e dal quale vogliamo lasciarci condurre in queste giornate di buio, sperando di uscirne prima possibile, ciascuno facendo la propria parte, con generosità e gratuità, con sensibilità e attenzione verso chi si trova nel bisogno».

Senza dimenticare medici e infermieri che da Nord a Sud stanno combattendo nelle corsie degli ospedali questo nemico invisibile…
R:«Si, è vero, medici e infermieri stanno dando una testimonianza di impegno generoso e grande spessore professionale. Ma non va dimentica l’opera delle  nostre autorità centrali e periferiche, della protezione civile, delle forze dell’ordine, di tante realtà associative laiche ed ecclesiali, di voi giornalisti e operatori della comunicazione, e i tanti che stanno a casa nel rispetto delle indicazioni ricevute».

Quanto sarà difficile per Lei, per i Ministri della Chiesa e per il popolo cristiano tutto vivere questa Santa Pasqua senza i suoi riti e senza quell’espressione di pietà popolare che da secoli la contraddistinguono?
R:«Certo, percepisco la difficoltà. Non è solo  questione personale, ma comunitaria, che tocca l’identità stessa del nostro popolo e la memoria storica della fede che si è trasmessa nei secoli fino ad oggi. Tanti si chiedono come possa essere possibile sospendere tutte le espressioni della pietà popolare e le processioni, “che arricchiscono i giorni della Settimana Santa e del triduo pasquale”.  E non sono pochi coloro che me lo chiedono attraverso varie modalità. La decisione, presa su scala nazionale, è il risultato di una convergenza tra autorità italiane e Cei, che trova conferma anche nelle indicazioni della Santa Sede,  su un valore incontrovertibile su cui non si discute: la tutela della salute di ogni persona, da quella più giovane e a quella più anziana. La sospensione rappresenta un fatto eccezionale, transitorio, doloroso, che non nasce da riserve verso la pietà popolare, ma dal valore cui ho fatto riferimento. E, poi, non dimentichiamo che, in questo momento in cui non è possibile la celebrazione comunitaria dei riti della Settimana Santa, ugualmente, acquista valore quella fatta a porte chiuse, senza il concorso dei fedeli, seguendoli anche sulla tv o per mezzo di altri strumenti. La preghiera in questo caso va al di là dello spazio e del tempo e raggiunge Dio come cosa gradita! E, comunque, il Venerdì Santo, come ho avuto modo di dire alla chiesa diocesana, mi premurerò di raggiungere le città della diocesi, per raccogliermi in preghiera, a porte chiuse, nei luoghi cari alla pietà popolare del nostro popolo».

«Il dramma che stiamo attraversando ci spinge a prendere sul serio quel che è serio, a non perderci in cose di poco conto», questo un estratto dell’omelia di Papa Francesco nel giorno delle Palme, Mons. D’Ascenzo, cosa di buono dobbiamo portare con noi di questi giorni che stiamo vivendo?
R:«Sono tante le riflessioni che possono sgorgare da queste parole del Papa, riprese da tanti con approfondimenti confluiti sui social e nelle sintesi giornalistiche. Direi che tutte hanno colto, ciascuna con il proprio specifico, quello che il Santo Padre volesse dire. Senza la pretesa di essere esaustivo,  la mia riflessione è che, in questa epidemia, da segnare come fatto negativo, troviamo conferma della interdipendenza tra noi creature umane, una sorta di globalizzazione che ora è focalizzata attorno ad un virus che ritroviamo in tutte le aree geografiche, portatore di sofferenza e morte. Ma che è paradigma di due forme di interrelazione: una virtuosa, l’altra nefanda. Penso soprattutto a coloro che  danno vita a processi e dinamiche, propagantisi alla stregua di moto ondoso,  di pace, solidarietà, giustizia, creando ponti, con esiti di rispetto e tutela della dignità della persona umana; e, al contrario, coloro che imprimono dinamiche di rottura, di odio, risentimento, provocando purtroppo l’offuscamento di tale valore. Siamo chiamati a scegliere tra cultura della vita e cultura della morte!».

Negli occhi di tutti noi sicuramente ci porteremo dentro quel bacio dato da Papa Francesco – in una piazza San Pietro deserta – qualche giorno fa al Crocifisso; nel giorno del venerdì Santo cosa dobbiamo chiedere noi tutti a piedi di quella croce?
R:«Per rispondere alla domanda, vorrei riprendere l’omelia tenuta nella celebrazione eucaristica della Domenica delle Palme. Gesù nel momento in cui stava per morire, sperimentò umanamente una solitudine estrema che lo portò a dire: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? «Il pensiero e la preghiera, a questo proposito, non possono non andare a chi si trova a combattere tra la vita e la morte nei letti della terapia intensiva, o a coloro che sono purtroppo morti nella solitudine, senza la possibilità del conforto dei loro cari o del conforto religioso dei sacramenti».

Mons. D’Ascenzo che significato assume il momento della Resurrezione che vivremo e celebreremo domenica in questo momento contraddistinto da morte e sofferenza?
R:«Gesù, che è stato visto soffrire e morire, dopo tre giorni viene sperimentato essere il Vivente, il Risorto, il Signore sulla morte. Questo è il fondamento della nostra fede. Alla luce di questo evento noi siamo chiamati, con tutto il nostro essere, con il poco o molto che abbiamo, a seminare i germi della risurrezione nel tempo e nello spazio che ci è dato di vivere. Mi ha colpito, come dicevo nella citata omelia, «seguendo il telegiornale, la testimonianza di un medico che, mentre si preparava ad iniziare il suo turno di lavoro, indossava abiti e protezioni che via via coprivano il suo volto e non permettevano più di riconoscerlo, quasi a dire che non è importante mettersi in mostra, figurare, apparire. Ciò che conta, invece, è esserci e donarsi mettendo in gioco la propria pelle. Bene, questo giovane medico diceva che il suo era un combattere per la causa, cioè la sconfitta del virus e l’aiuto alle tante persone malate, e avrebbe combattuto fino alla fine. Ho pensato a Gesù che dona se stesso, fino alla fine, senza risparmiare nulla per sé. È la logica della croce, della Settimana Santa, della Pasqua. Possa diventare, anche a motivo di questa emergenza, la logica di vita di ogni persona e di ogni discepolo di Gesù».
     
Mons.D’Ascenzo chiudo chiedendogli di lasciarci un suo personale appello, affinchè tutti rispettiamo le norme imposte dalle Autorità governative, #iorestoacasa perché?  
R:«Si, certo! In questo momento siamo chiamati a dare prova del bene della nostra vita come bene comune. Pertanto ha senso l’indicazione delle nostra autorità a restare a casa per arginare e fermare il contagio. Mai, come in questo momento, da me dipende il bene della mia vita e di quella altrui!».

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