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La Voce Grossa di…Roberto Vannacci(intervista):« Il mio libro? È divisivo…lo si ama o lo si odia»


Nicola Ricchitelli – La voce di quest’oggi è la voce di un libro che da più di sei a questa parte sta facendo parlare di sé dividendo l’opinione pubblica: «… il libro è divisivo, è vero, lo si ama o lo si odia ma, da sempre, le opinioni scomode, dirette, sincere e chiare suscitano reazioni contrarie…».

La voce di quest’oggi sono le parole di un libro – “Il Mondo al Contrario” – che in un lungo e in largo è stato oggetto di critiche ma anche di apprezzamenti: «… il fatto che lo abbiano comprato 250.000 persone e che (secondo alcune stime in rete) la sua copia pirata in pdf abbia superato le 800.000 distribuzioni infastidisce qualcuno, dà malessere, minaccia la diffusione del pensiero unico, rischia di far rinascere in molti la voglia di non farsi dominare dal politicamente corretto…».

Sulle pagine de La Voce Grossa accogliamo il Generale Roberto Vannacci.

Generale innanzitutto benvenuto sulle pagine del nostro giornale, come sta?
R: «Molto bene grazie e vi ringrazio di questo invito».

Andiamo subito al dunque, c’è un libro – “Il Mondo al contrario” – da lei scritto che ha fatto molto parlare, ma possiamo dire che nella fattispecie le ha cambiato la vita?
R: «Come al solito, quale incipit, ribadisco che parlo a titolo personale e, a titolo esclusivamente personale, ho scritto il mio libro. Il libro rappresenta le mie idee ed i miei pensieri come libero cittadino di questa Repubblica e la sua pubblicazione ha suscitato tantissime polemiche e un polverone imprevedibile. La mia vita è cambiata, certamente, mi sono trovato nell’occhio di un ciclone che non avevo potuto aspettarmi e ho dovuto cercare di non farmi travolgere».

Quali i pregiudizi che le sue parole hanno suscitato?
R: «In ogni occasione che si è presentata ho spiegato cosa vi fosse scritto in realtà nel libro perché quasi sempre la critica proveniva da chi il libro non lo aveva letto e si permetteva di emettere sentenze senza avere cognizione di causa. Ho dovuto espormi sui media proprio per cercare di far trionfare la verità e per smascherare i moltissimi che, spesso per ignoranza, per partito preso, per sciatteria ma anche per malafede, cercavano di farmi apparire come omofobo, razzista, xenofobo, antisemita, putiniano, fascista e chi più ne ha più ne metta».

È riuscito a far cadere quel muro di pregiudizio?
R: «Non so se ci sono riuscito ma almeno spero di aver instillato in molti il germe del dubbio. Anche da un punto di vista privato la mia vita è cambiata: sto meno con la famiglia, rispondo a innumerevoli chiamate da parte di giornalisti e opinionisti, mi vedo in tantissimi quotidiani e trasmissioni...non ero abituato a tale popolarità. Fortunatamente, in ambito familiare, abbiamo mantenuto la nostra serenità e semplicità, anche perché non mi sono mai montato la testa, consapevole che questa popolarità prima o poi si dissolverà con la stessa rapidità con la quale si è formata».

Rileggendolo vi è un qualcosa che oggi non dico non avrebbe scritto ma scritto in maniera diversa?
R: «Riscriverei tutto, forse rendendo la prosa più scorrevole, correggendo qua e là la punteggiatura ed evitando qualche ripetizione. Spesso chiamo il mio manoscritto “il libro delle banalità” per la sconcertante ovvietà delle idee ivi espresse. Il problema è che nell’ultimo decennio la normalità è diventata rivoluzionaria. Pensi che vi sono delle categorie che attribuiscono all’aggettivo “normale” o al suo contrario “anormale” accezioni negative, addirittura offensive, gabbandosi del suo vero significato riportato in tutti i dizionari della lingua italiana. Si vedono offese in qualsiasi espressione che non sia in linea con il pensiero unico, con il politicamente corretto: esaltare una differenza di cultura, di radici, di etnia, di religione, per esempio, viene considerato discriminatorio senza contare che la discriminazione si basa sui diritti e sulla dignità e non sulla constatazione palese delle diversità che nella mia visione del mondo sono da considerarsi ricchezze e, quindi, sono da esaltare. Le opinioni, le idee, i pensieri si combattono sul piano delle argomentazioni e non con la censura o nei tribunali. Io non mi sono mai tirato indietro di fronte a chi non la pensa come me e ho sempre accettato ogni dibattito, purché pacato, civile ed educato. Chi non condivide quanto da me scritto è libero di criticare e di far prevalere le proprie opinioni, saranno poi i lettori e gli ascoltatori a valutare quali argomentazioni siano più convincenti».


Si aspettava una presa così decisa sull’opinione pubblica?
R: «Io pensavo di diffondere il libro tra 250-300 persone che sono poi i miei contatti, i miei amici, le persone che mi conoscono, gli amici degli amici, tutto qua. Il motivo del successo e della presa sull’opinione pubblica sono le polemiche che sono scaturite dopo la sua pubblicazione e, soprattutto, dopo i due articoli di Repubblica e Corriere della Sera dei giornalisti Pucciarelli e Cazzullo. Altro motivo di successo, intervenuto più tardi - quando la curiosità ha spinto in moltissimi a comprare il libro – è stata la circostanza che, come illustrato nella prefazione del mio libro, le tematiche affrontate e i pareri espressi fossero condivisi da una buona parte della società che, forse, non aveva più l’ardire e il coraggio di manifestare le stesse opinioni a voce alta. Il libro è divisivo, è vero, lo si ama o lo si odia ma, da sempre, le opinioni scomode, dirette, sincere e chiare suscitano reazioni contrarie. Ma giusto per parlare di numeri, come spesso faccio nel mio libro perché sono poi le entità che meno si prestano a interpretazioni personali, su Amazon a fronte delle circa 7700 recensioni del libro, l’85% è a 5 stelle e il 9% a 4 stelle totalizzando un 94% di recensioni estremamente positive. Peraltro, si evince chiaramente, osservando la pagina delle recensioni, che una buona parte di quelle negative sono fatte da chi non può dimostrare acquisto verificato del libro sulla piattaforma. Ciò significa che i detrattori veri, tra quelli che hanno letto il libro, sono pochissimi».

Quindi questo che significa?
R: «Significa anche che chi ne parla in maniera negativa molto spesso non lo ha letto e si basa su trafiletti, estratti già commentati su altre testate o sul semplice “sentito dire”. D’altra parte, criticare i libri che non si sono letti ed esprimere sentenze su ciò che non si conosce fa parte della sciatteria di molti commentatori e opinionisti molto in vista. Lo stesso onorevole Bersani, quando ha commentato il mio scritto alla festa dell’Unità di Ravenna di fronte a migliaia di suoi sostenitori, ha molto semplicemente ammesso di non aver letto il mio libro lasciandosi però poi andare a commenti certo poco edificanti su quanto avessi scritto e sulla mia persona. A questo riguardo aggiungo inoltre che il bello di un libro è quello di essere un oggetto passivo: se si vuole lo si compra e lo si legge, altrimenti resta sullo scaffale di una libreria e non disturba, non viene diffuso, non urta nessuno, non invade spazi privati, non può farlo! Per cui, tutta questa artefatta polemica, pare molto strumentale e pretestuosa: nessuno obbliga alla lettura del mio libro ma forse, il fatto che lo abbiano comprato 250.000 persone e che (secondo alcune stime in rete) la sua copia pirata in pdf abbia superato le 800.000 distribuzioni infastidisce qualcuno, dà malessere, minaccia la diffusione del pensiero unico, rischia far rinascere in molti la voglia di non farsi dominare dal politicamente corretto, spinge una fetta della popolazione a palesare il desiderio di un modello sociale che non coincide con quello che da anni la cultura woke ci vuole imporre. Un libro maledetto, quindi, versetti satanici da proscrivere, vietare, criticare, condannare e relegare nell’angolo delle nefandezze. La nuova censura, come la definirebbe Alain de Benoist».


Era preparato in qualche modo a ciò in cui l’onda mediatica lo avrebbe trascinato?
R: «Certo che no. Non sono un professionista della comunicazione e neanche uno scrittore o pubblicista. Nella mia vita ho fatto ben altro per tantissimi anni. L’onda mediatica è stata sollevata quale effetto secondario della pubblicazione del mio libro e, per quanto si cerchi di attribuirmi anche questa responsabilità, i sistemi complessi, come quello sociale, sono proprio caratterizzati dall’impossibilità o dall’estrema difficoltà di poter prevedere le conseguenze di un’azione. L’atmosfera, per esempio, è un sistema complesso: se oggi c’è una tempesta di vento a Torino è assolutamente improbabile - anche basandosi sulla statistica delle ultime decadi - poter prevedere quali siano gli effetti che questa tempesta possa ingenerare negli strati atmosferici vicini e lontani. E così è la società: imprevedibile, mutevole, imponderabile, indeterminata. Come avrei potuto prevedere gli effetti primari, secondari e terziari della pubblicazione del mio libro? Sono convinto che se fosse stato pubblicato in un altro momento, se Pucciarelli non avesse scritto quell’articolo su Repubblica, se ci fossero stati altri eventi più importanti contestuali alla pubblicazione del testo gli effetti sarebbero stati completamente diversi. Per cui non ero né preparato alla tempesta mediatica né mi si può attribuire la responsabilità di averla innescata. Tuttavia, visto che comunque lo tsunami informativo si è sollevato la problematica non era tanto di capirne il perché ma di affrontarlo per non farsi travolgere. E così ho gestito la situazione, cercando di essere pragmatico, razionale, realista e coerente e tentando di dominare le mille esternazioni che da subito, senza alcun appello, mi hanno condannato, colpevolizzato e relegato nell’angolo dei rei».

Lei si sente razzista? Omofobo? Sessista?
R: «Assolutamente no! Intanto perché non ho alcuna malattia mentale, sono sempre stato giudicato idoneo da svariate commissioni mediche allo svolgimento delle più pericolose e stressanti attività ed al comando di uomini. Ricordo, infatti, che la “fobia” è una patologia medico-psichiatrica e quando si usa il termine “omofobo” si sta attribuendo all’oggetto dell’epiteto una malattia mentale…la semantica è importante! Non ho alcuna paura irrazionale di chi ha gusti sessuali diversi dai miei, non credo che un’etnia sia geneticamente superiore rispetto ad un’altra – perché razzismo significa proprio questo – e adoro le donne, a cui oggi rivolgo i miei più fervidi e sentiti auguri per la loro festa. Queste accuse sono semplicemente infondate o, peggio, strumentali. Durante tutta la mia lunga carriera ho rischiato la vita per salvare persone che avevano la pelle diversa dalla mia e ho comandato uomini e donne con predilezioni e gusti sessuali di tutti i tipi senza mai farmene un problema e senza trattarli in modo diverso rispetto a tutti gli altri. Non ho mai mancato di rispetto ad una donna e non ho mai sostenuto che le donne, in quanto tali, abbiano dignità o diritti diversi dagli uomini. Allo stesso tempo sono convinto che uomini e donne siano diversi, sia fisiologicamente che dal punto di visto della sensibilità mentale e della psicologia, e che questa diversità arricchisca questo mondo che, altrimenti, sarebbe pervaso dal piattume, dall’immobilismo e dall’inerzia. Il “comunismo cosmico”, per fortuna, non esiste!».


Generale una vita nell’esercito italiano, cosa significa dedicare la propria vita alla Patria?
R: «Significa dedicare tutta la propria esistenza a ciò in cui si crede. Essere disposti a morire per degli ideali e per ciò che la Patria rappresenta. Ognuno di noi ha la propria idea di Patria e per me significa valori comuni, senso di appartenenza, tradizioni, memorie, storia, famiglia, lingua, identità, tendenza all’eccellenza. Lo scrivo nel libro nel capitolo dedicato proprio alla Patria. Ma si può essere patrioti senza vestire un’uniforme, perché è patriota chiunque sia alzi al mattino e si dedichi anima e corpo a rendere la propria Patria il paese più bello del mondo».

Soprattutto che significa per lei essere un soldato?
R: «Significa dedicare la propria vita alla difesa in armi della propria Patria. Ribadisco “difesa in armi”, questo fanno i soldati: combattono, si addestrano quotidianamente per farlo e sono pronti a farlo. Usano la forza o la minaccia dell’uso della forza per la Difesa della propria nazione: questo è il loro compito fondamentale. Essere un bravo soldato vuol dire anche essere un bravo professionista delle armi».

Cosa prova ogni qual volta indossa la divisa?
R: «Estremo piacere. L’uniforme rappresenta la mia scelta di vita fatta consapevolmente».

Vi è stato un momento della sua carriera che quella divisa si è fatta pesante tale da pensare di doverla lasciare?
R: «No, mai. La dedizione al mio lavoro ha prevalso sempre su tutto, anche sulla famiglia e sugli affetti più cari. Mi sono sposato molto tardi perché il mio lavoro non mi consentiva di farlo prima; la mia seconda figlia è nata quando ero in Afghanistan, perché là avevo la mia “famiglia per scelta” a cui dedicarmi; ai miei affetti più cari ho dedicato solo le “briciole di vita” che il mio lavoro di soldato consentiva. Mai avuto rimpianti o ripensamenti. Se così fosse stato avrei immediatamente cambiato vita: non si può fare il soldato se non si è pienamente convinti della propria scelta».

Quale sarà il futuro del Generale Roberto Vannacci?
R: «Non lo so. Sino ad oggi mi era quasi impossibile prevedere cosa sarebbe successo l’indomani e le cose non sono cambiate molto. Sto valutando molte opzioni e opportunità e lo farò scientemente. Sono sicuro che qualsiasi scelta che dovessi intraprendere sarà guidata dalla passione e dalla voglia di affrontare delle difficili sfide perché così è avvenuto in tutta la mia vita».

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