La Voce Grossa di…Giada Bruno(intervista): «Il futuro? È l’integrazione dei linguaggi…e io voglio essere pronta a raccontare ovunque ci sia spazio per una voce vera»
Nicola Ricchitelli - La voce che vi raccontiamo in questa intervista è di una giovane e promettente aspirante giornalista sportiva italiana, originaria di Castrovillari, in Calabria, attualmente impegnata nel racconto del calcio attraverso diverse collaborazioni editoriali – tra cui in passato AllMilan.it testata dedicata all'AC Milan, oggi la vediamo impegnata a RadioKontatto.it - la sua scrittura si distingue per uno stile diretto e coinvolgente, capace di unire competenza tecnica e narrazione emotiva.
Sui social media, si presenta come "Aspiring Sports Journalist" e "Digital Storyteller in Football", racconta il calcio con "testa e cuore" e condivide contenuti che spaziano tra informazione, ironia e passione sportiva.
La sua dedizione e il suo talento sono stati riconosciuti anche da figure di spicco del giornalismo sportivo, come Mauro Suma, che le ha espresso pubblicamente il suo apprezzamento.
È sicuramente tra i rappresentanti di nuova generazione di narratori sportivi: autentica, dinamica e profondamente connessa con la community calcistica, sia online che offline.
Sulle pagine de La Voce Grossa, accogliamola voce di Giada Bruno.
Come è nata la tua passione per il giornalismo sportivo e, in particolare, per il Milan?
R: «Il calcio fa parte di me da diversi anni ormai. Tutto è iniziato quasi per gioco, quando facevo le foto ai miei amici di scuola che giocavano nella juniores, nei giovanissimi, negli allievi. Poi è arrivato il Castrovillari Calcio in Serie D, le domeniche allo stadio e gli allenamenti seguiti accanto a mio padre, che è un allenatore e, ancora prima, un milanista di titanio. Nonostante questo legame così forte con il mondo del pallone, nella vita pensavo di fare tutt’altro: il mio sogno era diventare medico. Dopo la maturità mi sono iscritta a Medicina, ho studiato per due anni, ma dentro di me sentivo di essere un pesce fuor d’acqua. Nel pieno di quella crisi, quasi per istinto, ho inviato una candidatura per collaborare con una pagina web che scriveva sul Milan. È stato come aprire una porta che non sapevo nemmeno esistesse.
Qual è stata la tua prima esperienza significativa nel mondo del giornalismo sportivo?
R: «La mia prima esperienza significativa nel giornalismo sportivo “puro” è stata come co-conduttrice del programma “Corner Salotto Dilettanti”, un format dedicato al calcio dilettantistico calabrese trasmesso su GS Channel in Calabria e su alcune emittenti del Lazio. Quel ruolo mi ha permesso di raccontare esperienze che ho vissuto in prima persona nel calcio dilettantistico, in quanto recentemente sono stata addetta stampa di una società sportiva di Eccellenza. Questa esperienza è stata un vero banco di prova che ha rafforzato la mia sicurezza professionale, affinando le mie capacità comunicative in diretta».
Come riesci a bilanciare il lavoro da giornalista con la creazione di contenuti sui social media?
R: «Per me non sono due mondi separati, anzi. I social sono uno strumento per raccontare il giornalismo da dentro, per avvicinare le persone a questo mestiere, farlo conoscere e viverlo insieme. I miei format, come “Il Caffè Rossonero” e altri che sono in fase di costruzione, nascono proprio per unire le due anime. Il giornalismo di oggi è molto dinamico, versatile, ma soprattutto, moderno. Tradurre un’analisi e un racconto giornalistico puro in un linguaggio adatto ai social è ormai fondamentale».
C’è stato un momento in cui hai pensato di mollare tutto? Come l’hai superato?
R: «Sì, c’è stato. E non solo uno. Ci sono stati momenti in cui ho pensato di aver perso tutto, di essermi completamente smarrita. In realtà, stavo solo facendo spazio a una versione nuova di me. O forse mi sono conosciuta davvero per la prima volta. Ho attraversato un periodo molto difficile, ho sofferto di depressione e ho scelto di farmi aiutare: ho intrapreso un percorso di psicoterapia e sono seguita anche da uno psichiatra. A distanza di un anno, ancora oggi porto avanti questo cammino, ma con più luce addosso. Sto per ridurre le dosi farmacologiche e, anche se non è stato facile, posso dire che ne è valsa la pena. Per me parlare di salute mentale è un atto d’amore, verso sé stessi e verso gli altri. Il mio consiglio è di non affrontare il dolore da soli, di affidarsi a chi ha gli strumenti per accompagnarci davvero. Chiedere aiuto non è debolezza: è il primo passo per salvarsi. E, un giorno, anche per rinascere».
Quanto conta la preparazione accademica nel tuo lavoro rispetto all’esperienza sul campo?
R: «Credo che servano entrambe, ma in modi diversi. L’università italiana è molto teorica, più che altro ti dà strumenti critici, metodo, visione; l’esperienza sul campo ti insegna l’ascolto, l’umiltà, il ritmo della realtà. La combinazione delle due è ciò che mi permette oggi di raccontare il calcio con profondità e verità».
Hai un modello o una figura di riferimento nel giornalismo sportivo italiano o internazionale?
R: «Sì, ne ho due in particolare. Federica Zille, una professionista che stimo tantissimo per la sua empatia, la spontaneità con cui racconta il calcio e la capacità di rimanere autentica anche in un contesto così competitivo. Il suo approccio umano, delicato ma competente, mi ha fatto capire quanto sia potente una narrazione che parte dal cuore. Poi Alessia Tarquinio, che per me rappresenta il coraggio di rompere gli schemi. In un mondo che per anni ha imposto canoni rigidi anche nella comunicazione sportiva, lei si racconta con ironia, leggerezza e una personalità che emerge con forza in ogni intervento».
Come scegli i contenuti da trattare e come costruisci una narrazione coinvolgente per il tuo pubblico?
R: «Parto sempre da ciò che vivo o sento davvero. Le mie scelte editoriali nascono dal dialogo con la mia community e da ciò che mi emoziona. La narrazione prende forma attorno a un’idea chiave: far sentire le persone comprese, come se stessimo parlando davanti a un caffè. Ogni parola è pensata per creare connessione. E, soprattutto, cerco di essere me stessa in ogni momento».
Quali sono, secondo te, le sfide principali per una giovane donna nel mondo del giornalismo sportivo oggi?
R: «Credo che la sfida più grande sia conquistarsi credibilità in un ambiente ancora fortemente maschile. A volte senti il bisogno di “dover dimostrare qualcosa in più”, anche solo per avere lo stesso rispetto o spazio di parola. Ci sono ancora stereotipi radicati che legano la competenza calcistica esclusivamente agli uomini, e in certi contesti questo può pesare. Per me la vera rivoluzione parte dallo stile con cui scegliamo di comunicare: essere preparate, certo, ma anche autentiche, empatiche, capaci di portare uno sguardo diverso, più umano e inclusivo. Non si tratta di voler per forza scardinare tutto, ma di raccontare lo sport con una sensibilità che fino a qualche anno fa non trovava spazio. Io ci credo profondamente: c’è bisogno di più voci femminili nello sport. E spero che, nel mio piccolo, il mio percorso possa ispirare altre ragazze a non sentirsi “fuori posto” in questo mondo».
Ti piacerebbe in futuro lavorare in televisione o preferisci rimanere nel mondo digitale e web?
R: «Mi piacerebbe portare il mio stile in televisione, se il contesto lo permette. Ma il digitale è il mio presente: libero, diretto, umano. Credo che il futuro sia nell’integrazione dei linguaggi. E io voglio essere pronta a raccontare, ovunque ci sia spazio per una voce vera».